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Topic: Il pianeta degli dei  (Letto 17934 volte)

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Online Cranyo

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« il: Aprile 08, 2013, 10:02:18 am »
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Da quando Charles Darwin sbalordì gli studiosi e i teologi
del tempo con la sua teoria dell'evoluzione, per la vita sulla
Terra è stato tracciato un percorso storico che, culminando
nell'uomo, passa attraverso i primati, i mammiferi, i vertebrati
e, ancora più indietro, attraverso forme di vita
progressivamente inferiori, fino al punto in cui, miliardi di anni
fa, si presume che sia cominciata la vita.
Dopo essere risaliti a ritroso fino a questo punto, gli studiosi
hanno cominciato a intravedere la possibilità di altre forme di
vita in qualche altra parte del nostro sistema solare o addirittura
al di fuori di esso, ed è qui che si sono fatti strada i primi dubbi
circa la vita sulla Terra. Sembra infatti che qualcosa non
quadri: se tutto è cominciato con una serie di reazioni chimiche
spontanee, come mai la vita sulla Terra ha una sola e unica
fonte, e non una serie di fonti dettate dal caso? E perché tutta la
materia vivente contiene così poco degli elementi chimici che
abbondano sulla Terra e così tanto di quelli che invece sono
rari sul nostro pianeta?
Non potrebbe essere che la vita sia stata importata sulla
Terra da qualche altro luogo?
La posizione dell'uomo nella catena evolutiva ha
ulteriormente complicato il problema. Sulla base di repertiossei ritrovati in luoghi diversi, gli studiosi credettero in un
primo tempo che l'uomo avesse avuto origine in Asia circa
500.000 anni fa. Ma quando vennero rinvenuti fossili più
antichi, risultò chiaro che il cammino dell'evoluzione aveva
richiesto molto, molto più tempo. I primati antenati dell'uomo
vengono ora datati approssimativamente a 25 milioni di anni
fa. Da reperti ritrovati nell'Africa orientale riusciamo a
collocare la transizione verso primati più simili all'uomo
(ominidi) a circa 14 milioni di anni fa, mentre solo 11 milioni
di anni più tardi sarebbe apparso il primo uomo-scimmia
classificabile come Homo.
Il primo essere con fattezze decisamente umane -
"Australopithecus avanzato" - visse in quella stessa parte del
mondo circa 2 milioni di anni fa, ma ci volle un altro milione di
anni prima che comparisse l'Homo erectus. Infine, dopo altri
900.000 anni, apparve quello che si considera il primo Uomo
primitivo: l'Uomo di Neanderthal, dal nome della località dove
i suoi resti vennero rinvenuti per la prima volta.
Sebbene siano passati più di 2 milioni di anni tra
l'Australopithecus avanzato e l'Uomo di Neanderthal, gli arnesi
che i due gruppi utilizzavano - pietre appuntite - erano piuttosto
simili, e anche le loro fattezze, per quello che ne sappiamo, non
erano poi tanto diverse.


Poi, improvvisamente e inesplicabilmente, circa 35.000 anni
fa un nuovo tipo di uomo - Homo sapiens ("Uomo pensante")
-apparve come dal niente e cancellò l'Uomo di Neanderthal
dalla faccia della Terra. Questi uomini moderni - chiamati
uomini di Cro-Magnon - erano talmente simili a noi che, se
vestiti e pettinati secondo la nostra moda, si confonderebbero
tranquillamente tra la folla di qualunque città europea o
americana. Poiché erano abilissimi nel costruire caverne,
furono in origine chiamati "uomini delle caverne". In effetti,
giravano sulla Terra senza problemi, proprio perché, dovunque
andassero, sapevano costruirsi case e ripari fatti di pietre e di
pelli di animali. Per milioni di anni, l'uomo aveva utilizzato
come utensili nient'altro che pietre di varie fogge. Ora, l'Uomo
di Cro-Magnon sapeva costruire arnesi diversi, a seconda
dell'uso a cui erano destinati, e armi fatte di legno e ossa. Non
era più una "scimmia nuda", ma usava le pelli degli animali per
coprirsi. Viveva in forme di società organizzate, una sorta di
clan guidato da un patriarca. Le incisioni e le sculture trovate
nelle caverne dimostrano un buon senso artistico e una certa
profondità di sentimenti, nonché una qualche forma di
"religione" apparentemente legata al culto di una Dea Madre,
raffigurata talvolta come una Luna crescente. L'Uomo di Cro-Magnon seppelliva i morti e deve quindi aver avuto una
concezione più o meno compiuta della vita, della morte e forse
addirittura di un aldilà.
Il mistero della comparsa dell'Uomo di Cro-Magnon si
arricchì presto di altri tasselli. Via via, infatti, che venivano alla
luce altri resti di questo uomo moderno (in località come
Swanscombe, Steinheim e Montmaria), diveniva sempre più
evidente che l'Uomo di Cro-Magnon discendeva da un più
antico Homo sapiens che era vissuto nell'Asia occidentale e in
Nord Africa circa 250.000 anni prima di lui.
Ora, l'ipotesi che l'uomo moderno sia comparso 700.000
anni dopo l'Homo erectus e 200.000 anni prima dell'Uomo di
Neanderthal non è assolutamente plausibile. Inoltre l'Homo
sapiens sembra discostarsi nettamente dal lento processo
dell'evoluzione, tanto che molte delle nostre odierne
caratteristiche, come la capacità di parlare, non hanno
assolutamente nulla a che fare con quelle dei precedenti
primati.
Il professor Theodosius Dobzhansky, che è un'autorità
indiscussa in materia, era particolarmente stupito dal fatto che
questo sviluppo fosse avvenuto proprio in un periodo in cui la
Terra andava incontro ad un'era glaciale, una condizione,
quindi, niente affatto propizia al progresso evolutivo. Partendo
dal presupposto che l'Homo sapiens manca completamente di
alcuni tratti che caratterizzavano i tipi precedentemente
conosciuti, e ne presenta invece altri mai apparsi prima, egli
concluse: «L'uomo moderno ha senza dubbio molti parenti e
affini tra i fossili rinvenuti, ma non ha progenitori; quale sia
l'origine dell'Homo sapiens resta davvero un mistero».
Come è possibile, allora, che gli antenati dell'uomo moderno
siano comparsi circa 300.000 anni fa, e non 2 o 3 milioni di
anni più avanti, come avrebbe dovuto essere se fossero stati
rispettati i normali ritmi del processo evolutivo? Siamo statiforse importati sulla Terra da qualche altro luogo, oppure,
come affermano l'Antico Testamento e altre fonti antiche,
siamo stati creati dagli dèi?
Oggi noi sappiamo dove è cominciata la civiltà e come si è
sviluppata. Resta tuttavia una domanda senza risposta: Perchè?
Perché è nata la civiltà? Anche la maggior parte degli studiosi,
seppure a malincuore, ormai lo ammette: secondo i dati di cui
disponiamo l'uomo non dovrebbe ancora aver raggiunto uno
stadio avanzato di civiltà. Non vi è alcuna ragione evidente per
cui noi dobbiamo essere più civilizzati delle tribù primitive che
vivono nella giungla amazzonica o nelle regioni più
inaccessibili della Nuova Guinea.
Se queste tribù vivono ancora come nell'età della pietra, ciò
avviene, si obietta di solito, perché sono rimaste isolate. Ma
isolate da che cosa? Se vivevano anche loro sulla Terra come
noi, perché non hanno acquisito le nostre stesse conoscenze
scientifiche e tecnologiche?
Il vero problema, tuttavia, non è l'arretratezza di questi
"selvaggi", ma semmai il contrario: il nostro stesso progresso.
È universalmente riconosciuto, infatti, che se l'uomo avesse
seguito il corso normale dell'evoluzione, noi dovremmo essere
ancora dei "selvaggi". Ci sono voluti 2 milioni di anni perché
l'uomo non si limitasse più a usare le pietre così come le
trovava, ma capisse che poteva tagliarle e modellarle a seconda
dell'uso che doveva farne. Perché dunque non ci sono voluti
altri 2 milioni di anni per imparare l'uso di altri materiali, e altri
10.000 anni per masticare matematica, ingegneria e
astronomia? E invece eccoci qua, a meno di 50.000 anni di
distanza dall'Uomo di Neanderthal, a mandare astronauti sulla
Luna.
Si affaccia dunque spontanea una domanda: noi e i nostri
progenitori mediterranei abbiamo davvero acquisito da soli
questo grado così avanzato di civiltà?

Anche se l'Uomo di Cro-Magnon non costruiva grattacieli e
non lavorava metalli, non vi è dubbio che la sua fu una civiltà
apparsa in maniera repentina e rivoluzionaria. Il fatto che egli
si muovesse senza difficoltà, che sapesse costruirsi dei ripari,
che desiderasse coprirsi e vestirsi, che costruisse da sé degli
oggetti: sono tutti elementi di una forma di civiltà che, sorta
improvvisamente, rappresentò un vero e proprio punto di
rottura rispetto a un processo che durava da milioni di anni e
che fino a quel momento era avanzato a un ritmo estremamente
lento.
Se dunque resta un mistero la comparsa dell'Homo sapiens e
dell'Uomo di Cro-Magnon, non vi sono più dubbi sul luogo in
cui tale civiltà è sorta: il Medio Oriente. Gli altipiani e le
catene montuose che si estendono a semicerchio dai Monti
Zagros a est (presso l'attuale confine tra Iran e Iraq) attraverso
le vette dell'Ararat e del Tauro a nord fino a comprendere,
verso sud e ovest, le regioni collinari di Siria, Libano e Israele:
è questa la regione dove sono state ritrovate caverne che
mostrano tracce evidenti dell'esistenza di un uomo preistorico
sì, ma moderno.

Una di queste caverne, Shanidar, si trova nella parte nordorientale di quest'area di civiltà. Ai giorni nostri le caverne di
questa zona sono utilizzate dalle tribù curde come riparo per sé
e per le greggi nei freddi mesi invernali. E lo stesso avvenne
anche in una fredda notte di 44.000 anni fa, quando una
famiglia di sette persone, tra cui un bambino, cercò riparo nella
caverna di Shanidar.
I loro resti - la caverna, con tutti i suoi abitanti, venne
probabilmente schiacciata da una gigantesca frana - furono
rinvenuti nel 1957 dal professor Ralph Solecki, che aveva
compiuto una spedizione nella zona proprio per trovare tracce
dell'eventuale passaggio di uomini primitivi 1 Ciò che trovòandava ben al di là delle sue aspettative. Sotto numerosi strati
di macerie si trovarono chiare tracce di un'abitazione
frequentata dall'uomo e risalente a un periodo compreso tra
100.000 e 13.000 anni fa.
Ma ciò che questo reperto dimostrava non era meno
strabiliante. La civiltà umana sembra infatti aver seguito un
percorso non di progresso, ma di regresso. Considerando un
determinato standard di partenza, le generazioni successive
mostrarono un livello meno elevato di civiltà, fino ad arrivare,
nel periodo compreso all'incirca tra 27.000 e 11.000 anni prima
di Cristo, a scomparire quasi del tutto. Per ragioni che si
presumono soprattutto climatiche, l'uomo risulta quasi
completamente scomparso da tutta la regione per 16.000 anni.
Poi, intorno all'11000 a.C. "l'Uomo pensante" riapparve con
nuovo vigore e con un livello culturale inesplicabilmente più
alto. È come se un misterioso allenatore sportivo, vedendo la
sua squadra in difficoltà, avesse deciso di togliere dal campo i
giocatori esausti sostituendoli con altri elementi più freschi e
meglio allenati.
Fin dagli albori della sua storia, e per milioni e milioni di
anni, l'uomo non era stato che un figlio della natura, dalla quale
dipendeva in tutto e per tutto. Egli si manteneva raccogliendo i
frutti che nascevano spontanei, cacciando gli animali selvatici e
catturando uccelli selvatici e pesci. Poi, ad un certo punto,
proprio quando le tracce di insediamenti umani si fanno più
rade, quando l'uomo cominciò ad abbandonare le sue antiche
dimore e a dimenticare le importanti conquiste alle quali era
giunto sul piano materiale e artistico, proprio allora, da un
momento all'altro, apparentemente senza motivo e senza alcuna
preparazione graduale alle spalle, l'uomo cominciò a coltivare
la terra.1
 Il professor Solecki mi disse che furono ritrovati nove
scheletri, dei quali solo quattro erano stati schiacciati dalla
roccia.
Riprendendo l'opera di eminenti autorità in materia, R.J.
Braidwood e B. Howe (autori di Prehistoric Investigations in
Iraqi Kurdistan, «Ricerche preistoriche nel Kurdistan
iracheno») conclusero che gli studi genetici confermano i
ritrovamenti archeologici e non lasciano dubbi sul luogo in cui
sarebbero nate le prime forme di agricoltura: il Vicino Oriente,
esattamente la stessa regione in cui in precedenza era apparso
l'Homo sapiens con la sua prima, ancora grezza civiltà. È
proprio da qui, dalle montagne e dagli altipiani medio-orientali,
che l'agricoltura si diffuse in tutto il mondo.
Con l'ausilio di sofisticati metodi di datazione (carbonio
radioattivo, genetica vegetale) studiosi appartenenti a svariati
ambiti scientifici concordano nell'affermare che il primo passo
fu la coltivazione di grano e orzo, ottenuti probabilmente a
partire da varietà selvatiche di cereali. Partendo dal
presupposto che, in qualche modo, l'uomo abbia dovuto seguire
un processo di apprendimento dell'arte di mettere a coltura e far
crescere una pianta selvatica, gli studiosi non riescono tuttora a
spiegarsi come sia possibile che, in poco tempo, il Medio
Oriente abbia visto la nascita di moltissime altre piante e
cereali indispensabili alla sopravvivenza e alla crescita del
genere umano: miglio, segale e farro tra i cereali edibili; poi
lino, da cui si ricavavano fibre e olio per uso alimentare, e
numerosi altri alberi e arbusti fruttiferi.
Qui, nel Medio Oriente, ognuna di queste piante venne
messa a coltura per millenni prima di arrivare in Europa. E
come se il Medio Oriente fosse una sorta di laboratorio
genetico-botanico, guidato da una mano invisibile, in cui abrevi intervalli di tempo venissero messe a punto sempre nuove
specie vegetali "addomesticate" e pronte per essere coltivate.
La vite, per esempio, secondo gli studiosi cominciò a essere
coltivata sulle montagne che circondavano la Mesopotamia
settentrionale, oltre che in Siria e Palestina. E i conti tornano.
L'Antico Testamento ci dice infatti che Noè "piantò una vigna"
(e addirittura si ubriacò con il suo stesso vino) quando, dopo il
ritiro delle acque del Diluvio, la sua arca si fermò sul monte
Ararat. Anche la Bibbia, dunque, come gli studiosi moderni,
colloca l'inizio della coltivazione della vite sui monti della
Mesopotamia settentrionale.
Mele, pere, olive, fichi, mandorle, pistacchi, noci: tutti
questi frutti nacquero nel Medio Oriente e da qui si diffusero in
Europa e in tutto il mondo. Anzi, non si può non notare che
l'Antico Testamento precedette di parecchi millenni i nostri
studiosi identificando proprio questa regione come il primo
"frutteto" del mondo: «E il Signore Dio piantò un frutteto
nell'Eden, a oriente... E il Signore Dio fece crescere dalla terra
ogni albero e ogni frutto piacevole a vedersi e buono da
mangiare».
Le generazioni che vissero in epoca biblica sapevano bene
dove si trovasse l'Eden: esso era "a oriente", cioè a oriente di
Israele, in una terra in cui scorrevano quattro grandi fiumi, tra i
quali il Tigri e l'Eufrate. Non vi è alcun dubbio che il Libro
della Genesi lo collocasse proprio sugli altipiani da cui
nascevano questi fiumi, nel nord-est della Mesopotamia: la
Bibbia e la scienza sono dunque in perfetto accordo.
Di fatto, se leggiamo il testo originale ebraico della Genesi
come un documento scientifico, non teologico, ci accorgiamo
che anch'esso descrive accuratamente il processo di
domesticazione delle piante.
Dalla scienza sappiamo che il primo gradino fu il passaggio
dalle piante erbacee selvatiche ai cereali selvatici, per poiarrivare ai cereali coltivati e infine agli alberi e arbusti
fruttiferi. Ed è esattamente questo il processo di cui parla il
primo capitolo del Libro della Genesi.
E il Signore disse:
«Che la Terra germini erba verdeggiante;
cereali che da seme producano seme;
alberi da frutto che portino
ciascuno il frutto della loro specie,
e che contengano il proprio seme in se stessi».
E così fu:
La Terra produsse erba verdeggiante;
cereali che da seme producono seme,
ciascuno della loro specie;
e alberi da frutto, che contengono
ciascuno il frutto della propria specie.
E la Genesi prosegue raccontandoci che l'Uomo, espulso dal
giardino dell'Eden, dovette faticare molto per far crescere i
prodotti della terra. «Con il sudore della fronte mangerai il
pane», disse il Signore ad Adamo. E dopo di lui, «Abele era un
pastore di pecore, mentre Caino coltivava la terra». L'Uomo,
dice dunque la Bibbia, divenne pastore subito dopo essere
divenuto agricoltore.
Gli studiosi concordano con questa ricostruzione
cronologica. Analizzando le varie teorie sull'addomesticamento
degli animali, F.E. Zeuner (Domestication of Animals,
«L'addomesticamento degli animali») afferma ripetutamente
che l'uomo non avrebbe potuto «acquisire l'abitudine di tenere
animali in cattività o di addomesticarli prima di aver imparato a
vivere in unità sociali di una certa entità». Queste prime
comunità stabili, senza le quali non sarebbe stato possibileaddomesticare animali, rappresentano il passo successivo
all'instaurarsi delle pratiche agricole.
Il primo animale a essere addomesticato fu il cane, e non
necessariamente come migliore amico dell'uomo, ma anzi
probabilmente come fonte di cibo. Si pensa che ciò sia
avvenuto intorno al 9500 a.C. I primi resti di scheletri di cane
sono stati trovati in Iran, Iraq e Israele.
Più o meno nello stesso periodo venne addomesticata anche
la pecora; la caverna di Shanidar contiene resti di pecora
databili intorno al 9000 a.C, i quali dimostrano che gran parte
dei piccoli venivano uccisi ogni anno per ottenerne cibo e
pellame. Poco dopo fu la volta della capra, che forniva anche
latte, e poi, ad uno ad uno, vennero addomesticati anche il
maiale, i bovini con le corna e quelli senza corna. Tutti,
comunque, cominciarono a essere addomesticati nel Vicino
Oriente.
La svolta radicale che cambiò il corso della storia umana
intorno all'11000 a.C. in Medio Oriente (e circa 2.000 anni
dopo in Europa) ha convinto gli studiosi a collocare in
quest'epoca la vera e propria fine dell'Antica età della pietra (il
Paleolitico) e l'inizio di una nuova era culturale, la Media età
della pietra (Mesolitico).
Il nome è corretto se consideriamo che il principale
materiale grezzo utilizzato dall'uomo continuava a essere la
pietra. Le dimore sulle montagne erano ancora costruite con la
pietra; le comunità erano protette da mura di pietra; i primi
arnesi agricoli, come la falce, erano fatti di pietra.
L'uomo onorava o proteggeva i suoi morti coprendone e
adornandone le tombe con pietre, e utilizzava la pietra per
formare rappresentazioni degli esseri supremi, o "dèi", di cui
invocava l'intervento benigno. Una di queste statue, ritrovata
nel nord di Israele e datata al IX millennio a.C, mostra incisa la
testa di un "dio" protetta da un elmetto a strisce e da una sortadi "occhiali a visiera".


Da un punto di vista più generale, però, sarebbe più
opportuno chiamare l'età che inizia circa 11.000 anni fa non la
Media età della pietra, ma l'età dell'addomesticamento. Nel
giro di appena 3.600 anni - e cioè nulla, nel cammino
dell'evoluzione - l'uomo divenne un agricoltore, e riuscì a
rendere domestici piante e animali. L'età che seguì viene
comunemente chiamata Nuova età della pietra (Neolitico), ma
anche questo termine è del tutto inadeguato, perché il
cambiamento principale che avvenne attorno al 7500 a.C. fu in
realtà la comparsa delle prime forme di lavorazione dell'argilla.
Per ragioni che la scienza non sa ancora spiegarsi - ma che
si chiariranno via via che proseguiremo nel nostro racconto
degli eventi preistorici - la marcia dell'uomo verso la civiltàrimase confinata, per parecchi millenni dopo l'11000 a.C, tra le
montagne del Medio Oriente. Solo in seguito l'uomo cominciò
ad abbandonare le dimore sui monti e a scendere a valle, e
questo passaggio concise con la scoperta dell'enorme versatilità
dell'argilla, che poteva essere plasmata e modellata per ottenere
un'infinita varietà di oggetti e utensili.
Nel VII millennio a.C. le civiltà medio-orientali pullulavano
ormai di terraglie e oggetti d'argilla, come ornamenti per la
persona, utensili e statuette, la cui fattura diventava sempre più
accurata e raffinata, fino a dar luogo, intorno al 5000 a.C, ad
una produzione estremamente varia, caratterizzata da un'ottima
qualità e da un design decisamente elegante.
Ancora una volta, però, questo progresso cominciò ad un
certo punto a rallentare, fino ad arrestarsi del tutto intorno al
4500 a.C. come risulta da evidenti prove archeologiche. Gli
oggetti di argilla lavorata persero ogni splendore e divennero
sempre più semplici, mentre tornavano a prevalere gli utensili
in pietra, retaggio dell'età della pietra. Nelle dimore che sono
state rinvenute le tracce di oggetti d'argilla si fanno sempre più
scarse. Alcuni siti che dovevano aver rappresentato veri e
propri centri di produzione artigianale di terraglie e oggetti
d'argilla scomparvero. «Vi fu un generale impoverimento della
cultura», afferma James Melaart (Earliest Civilizations of the
Near East, «Le prime civiltà del Medio Oriente») e alcuni
ritrovamenti archeologici portano chiaramente il marchio della
"nuova fase oppressa dalla povertà".
L'uomo e la sua cultura, dunque, erano decisamente in
declino.
Poi, da un momento all'altro, senza alcun precedente o
motivo apparente, il Vicino Oriente assistette alla fioritura
della più grande civiltà che si potesse immaginare, una civiltà
nella quale anche la nostra affonda saldamente le sue radici.
Una mano misteriosa sottrasse ancora una volta l'uomo alsuo declino, sollevandolo a un livello ancora più alto di cultura,
conoscenza e civiltà.


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    « Risposta #1 il: Aprile 08, 2013, 10:02:51 am »
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    vorrei il parere di normency e usfaticat al riguado ...Grazie  :pat_hi:
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      « Risposta #2 il: Aprile 08, 2013, 10:05:31 am »
      Ma è l'introduzione di un altro libro sulla teoria degli antichi astronauti? Spero si tratti di un romanzo :look:

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        Ma è l'introduzione di un altro libro sulla teoria degli antichi astronauti? Spero si tratti di un romanzo :look:

        zecharia sitchin
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            « Risposta #5 il: Aprile 08, 2013, 10:51:23 am »
            l'ho letto :look:

            william qua sul forum è esperto di ste cose

            ma leggendo qui e li dicono che sia una marea di cazzate le sue traduzioni
            Inviato da una cripta. :schiatty:

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              « Risposta #6 il: Aprile 11, 2013, 20:52:19 pm »
              ragazzi mi sta appassionando tanto .....le sue scoperte sono reali ...molti dicono che sono errori di traduzioni ...ma nessuno mai riporta le teorie che ste traduizioni sono errate..
              :cranyorschach:I'm alive,motherfucker!! :cranyorschach:
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                « Risposta #7 il: Aprile 11, 2013, 21:18:58 pm »
                :facepalm:


                For those who live inside a myth, it seems a self-evident fact. Human progress is a fact of this kind. If you accept it you have a place in the grand march of humanity. Humankind, is, of course, not marching anywhere. ‘Humanity’ is a fiction composed from billions of individuals for each of whom life is singular and final. But the myth of progress is extremely potent.

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                  « Risposta #8 il: Aprile 11, 2013, 22:33:30 pm »
                  :facepalm:
                  ma ric n cos senzat na VOT ogni tanto

                  :cranyorschach:

                  :cranyorschach:I'm alive,motherfucker!! :cranyorschach:
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                    « Risposta #9 il: Aprile 11, 2013, 22:35:28 pm »
                    non le capiresti comunque


                    For those who live inside a myth, it seems a self-evident fact. Human progress is a fact of this kind. If you accept it you have a place in the grand march of humanity. Humankind, is, of course, not marching anywhere. ‘Humanity’ is a fiction composed from billions of individuals for each of whom life is singular and final. But the myth of progress is extremely potent.

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                      « Risposta #10 il: Aprile 11, 2013, 22:36:58 pm »
                      non le capiresti comunque
                      vedi che sei tu normency :look:

                      :cranyorschach:

                      :cranyorschach:I'm alive,motherfucker!! :cranyorschach:
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                        « Risposta #11 il: Aprile 11, 2013, 23:30:07 pm »
                        nomercy traduce meglio :look:
                        Inviato da una cripta. :schiatty:

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                          « Risposta #12 il: Aprile 11, 2013, 23:47:59 pm »
                          ragazzi mi sta appassionando tanto .....le sue scoperte sono reali ...molti dicono che sono errori di traduzioni ...ma nessuno mai riporta le teorie che ste traduizioni sono errate..

                          Lol http://www.michaelsheiser.com/nibirupage.htm

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                              « Risposta #14 il: Aprile 11, 2013, 23:53:40 pm »
                               :facepalm:


                              For those who live inside a myth, it seems a self-evident fact. Human progress is a fact of this kind. If you accept it you have a place in the grand march of humanity. Humankind, is, of course, not marching anywhere. ‘Humanity’ is a fiction composed from billions of individuals for each of whom life is singular and final. But the myth of progress is extremely potent.

                                 

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