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Topic: NAPOLI- SWINDON TOWN 18-05-1970  (Letto 2525 volte)

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Offline akplm

  • Salvatore Bagni
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« il: Luglio 02, 2011, 13:36:41 pm »
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Migliorato l'anglo e peggiorato l'italiano

di Marco Liguori

Napoli–Swindon Town, giovedì 28 maggio 1970, finale del torneo Anglo-italiano. Una testimonianza del passato, con la quale si può rammentare che il teppismo e l’imbecillità gratuita allo stadio esisteva già in anni lontani. Questa data è stata purtroppo rimossa dalla memoria collettiva, non solo dei napoletani, ma anche da chi si occupa di calcio: eppure dovrebbe essere ricordata, a causa dei gravi fatti che accaddero in quella occasione, per evitare che si ripeta in futuro. All’epoca non esistevano ancora gli ultras o quantomeno non esisteva nulla di paragonabile al fenomeno odierno del tifo organizzato: fu probabilmente una vera "insorgenza" o, per dirla con Karl Von Clausewitz, una "guerra di popolo". La tifoseria azzurra non era nuova ad esplosioni di violenza: nell’ultima giornata del campionato di 1962/63 di serie A il Modena vinse a Napoli 2 a 0, condannando i partenopei retrocessione in B. Ci fu un’invasione di campo e furono completamente distrutte le due porte. Purtroppo questa demenza collettiva è proseguita ininterrotta fino ai giorni nostri, come ricordano gli ultimi episodi di violenza sui campi nostrani. La mia prima volta allo Stadio San Paolo di Napoli coincise proprio con quella partita maledetta. Ero un bimbo, ma ricordo ogni particolare: era un pomeriggio di tiepido sole ‘e maggio napoletano, un’occasione di festa tra gli striscioni e le bandiere inneggianti al "ciuccio". Rammento bene la forte e dolce mano di mio padre dall’ingresso sino al momento in cui giungemmo alla tribuna. E, non appena seduto, vidi il colpo d’occhio del grande anello del San Paolo: all’epoca della sua inaugurazione (correva l’anno 1957) era stato inizialmente chiamato (non a caso) Stadio del Sole. Secondo le cronache dell’epoca, gli spettatori erano 55mila: la folla attendeva l’incontro con la sua calda passione vesuviana, incitando con cori e canti i propri beniamini, come se fosse stato la finale di Coppa dei Campioni. Ma come avrebbero detto i due famosi padri della moviola, i giornalisti della Rai Carlo Sassi ed Heron Vitaletti, "torniamo un attimo indietro" per capire brevemente come erano arrivate il Napoli e la squadra inglese dello Swindon Town a quella finale, rivelatasi poi sciagurata.

Il torneo Anglo-italiano era stato ideato nel 1969 da Gigi Peronace, calabrese di Soverato, indimenticato talent scout trasferitosi in Inghilterra negli anni ’50, anello di congiunzione tra il calcio del Belpaese e quello britannico. A lui si deve l’arrivo in Italia di campioni del calibro di John Charles, Denis Law, Jimmy Greaves, Joe Baker e Liam Brady. Il suo genio risolse una situazione di imbarazzo per l’Uefa: lo Swindon Town aveva conquistato nel 1969 la coppa di Lega inglese, ma era una società militante nella terza divisione britannica. In teoria, con questa sua vittoria, il club avrebbe dovuto partecipare alla Coppa delle Fiere (la progenitrice dell’attuale Coppa Uefa): ma a causa della sua "bassa militanza" lo Swindon Town non ne aveva diritto. Tuttavia, il traguardo raggiunto dalla società della omonima cittadina (un centro industriale che contava oltre 100mila abitanti a fine anni ’60) posta a 130 chilometri ad ovest di Londra non poteva restare inosservato: fu così che Peronace partorì questa particolare competizione. Alla prima edizione parteciparono sei squadre italiane e sei squadre inglesi, incluse le due vincitrici delle rispettive coppe nazionali: la Roma e, appunto, lo Swindon Town. L’Anglo-italiano non deve confondersi con la Coppa di Lega Anglo-italiana, che prevedeva una sfida con partite di andata e ritorno tra le due vincitrici della Coppa di Lega inglese e della Coppa Italia: nel 1969 l’aveva vinta lo Swindon Town superando la Roma (2 a 1 per i giallorossi all’Olimpico, 4 a 0 al ritorno per gli inglesi). Tra le altre partecipanti, per la parte britannica c’erano il Middlesbrough, lo Sheffield Wednesday, il Sunderland, il West Bromwich Albion e il Wolverhampton. La rappresentanza italiana era composta dalla Juventus, dal Lanerossi Vicenza, dalla Lazio e dalla Fiorentina. La macchinosa formula dell’Anglo-italiano prevedeva tre gruppi composti da squadre di entrambe le nazioni: i risultati conseguiti erano però inseriti in due classifiche distinte, una per le italiane e una per le inglesi. Il regolamento prevedeva un criterio di classificazione completamente differente dal parametro classico dell’epoca, che prevedeva per la vittoria due punti, per il pareggio un punto e per la sconfitta: al punteggio erano sommati anche i gol segnati. Era dunque premiata la squadra che segnava di più. Il primo raggruppamento era composto da Juventus, Napoli, Swindon Town e Sheffield Wednesday; il secondo da Lanerossi Vicenza, Roma, Middlesbrough e West Bromwich Albion; il terzo da Lazio, Fiorentina, Sunderland e Wolverhampton Wanderers. Il regolamento prevedeva che, dopo la prima fase a gironi, si sfidassero in finale le due prime classificate italiana e inglese, sul campo del squadra che avesse ottenuto il maggior numero di punti più gol segnati. Il Napoli, classificatosi primo tra le italiane, aveva conseguito una somma di 14 contro i 13 dello Swindon Town, il primo club inglese: la partita decisiva tra le due si sarebbe disputata al San Paolo il 28 maggio 1970.

Torniamo ora a quella giornata maledetta. Il Napoli aveva già affrontato la formazione inglese: gli azzurri avevano vinto a Swindon 2 a 1 e avevano perso in casa per 1 a 0. Nella formazione partenopea mancavano le due stelle, Dino Zoff e Antonio Juliano: entrambi erano stati convocati in Nazionale dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi per i mondiali di Messico ’70. A sostituire in porta il Dino nazionale (in quel periodo riserva di Enrico Albertosi) c’era Trevisan. Ad eccezione dei due nazionali e di Altafini, Hamrin e Barison, il "ciuccio" non aveva grandi nomi nella sua formazione, a causa delle croniche difficoltà economiche. C’erano anche Ottavio Bianchi, che aveva fatto faville nel suo ruolo a centrocampo nel campionato 1969/70 ma non era stato convocato in Nazionale per la spedizione messicana, e Gianni Improta, all’epoca giovane promessa, amatissimo dai tifosi. Gli altri erano erano Floris, Monticolo, Zurlini, Panzanato e Montefusco. Dall’altra parte c’era lo Swindon Town, che, nonostante la squillante vittoria con la Roma nella Coppa Anglo-italiana, restava sulla carta una formazione più debole, considerata la sua perdurante militanza nella terza serie inglese. I suoi undici nomi (Jones, Thomas, Trollope, Butler, Burrows, Harland, Smith, Smart, Horsfield, Noble, Rogers) non erano certo al livello dei mostri sacri dell’allora formazione nazionale (come Bobby Moore, Jack Charlton e Geoffrey Hurst) che si accingeva a difendere in Messico il titolo mondiale conquistato a Wembley nel 1966. Eppure, sin dalle prime battute dell’incontro si vide che lo Swindon era una formazione molto agile e compatta: il suo allenatore, Fred Ford, aveva creato un gruppo vincente che dava filo da torcere agli avversari. Il Napoli, oltre alle sue lacune difensive, soffriva la mancanza del suo capitano Juliano, che sapeva guidare il gioco della squadra: mancando il suo faro di centrocampo la formazione napoletana piombò ben presto nella notte più nera. Invece la forza della squadra inglese era evidente proprio nella linea mediana: e così dopo soli 24 minuti Noble segna la prima rete per gli inglesi. La reazione degli azzurri è impacciata e incosistente: all’epoca non erano ancora consentite le sostituzioni, che sarebbero state introdotte ufficialmente ai mondiali messicani. L’allenatore Giuseppe Chiappella non avrebbe potuto quindi porre rimedi dal punto di vista tattico. Viste le premesse del primo tempo non si poteva pretendere che nella ripresa il Napoli potesse fare miracoli: così giunse la disfatta. Lo Swindon Town realizzò altri due gol: al 58' ancora con Noble e al 63' con Horsfield solo davanti a Trevisan: fu il giusto coronamento della netta superiorità della squadra inglese, contro un Napoli formato vacanza da fine stagione. Intanto, sugli spalti la situazione stava progressivamente degenerando. I tifosi montarono una feroce contestazione, che passò dai fischi, dalle urla e dalle invettive lanciati dopo i primi due gol inglesi, alle vie di fatto più vergognose della storia del "ciuccio". Proprio dopo il terzo gol, mio padre intuì quel tremendo clima di rabbia: "Marco andiamo!" esclamò prendendomi ancora per mano, ma stavolta in modo fermo e deciso. Quella decisione improvvisa, ma provvidenziale, mi risparmiò la visione dell’avvilente e denigrante spettacolo che si sarebbe scatenato poco dopo.

Secondo la ricca (e purtroppo unica, tranne qualche accenno sui siti di storia del Napoli) documentazione presente sul sito dello Swindon Town (http://www.swindon-town-fc.co.uk/) a poco più di 10 minuti dalla fine al San Paolo si scatenò l’inferno. Come novelli cavernicoli del XX secolo, i tifosi napoletani divelsero le panche di travertino, dov’erano seduti, poste nella parte bassa delle due curve e dei distinti e le frantumarono in piccoli pezzi: così iniziarono un fitto lancio di pietre verso il campo, accompagnato (come se non fosse bastato) da bottiglie di vetro. Le eloquenti fotografie presenti sul sito del club inglese testimoniano la follia di quei momenti. Fu una sarabanda infernale. Correva il 79° minuto: l’arbitro austriaco Paul Schiller decise di interrompere la partita e mandò subito le squadre negli spogliatoi. Nonostante la pronta disposizione del direttore di gara, Horsfield, autore del terzo gol, fu centrato sulla coscia da una pietra e riportò una brutta ferita. Secondo le cronache dei quotidiani inglesi, il lancio del travertino dagli spalti durò a lungo, anche durante la carica della polizia, che riuscì a domare la rivolta dei tifosi soltanto dopo molto tempo. Intanto, nel "bunker" degli spogliatoi l’arbitro decideva la sospensione definitiva e l’assegnazione della coppa del torneo allo Swindon Town. La battaglia sugli spalti e all’esterno dello stadio proseguiva tra la folla rabbiosa e le forze dell’ordine: alla fine si conteranno 40 feriti tra i poliziotti e 60 tra i tifosi. Le persone arrestate furono 30, quelle fermate 11. Secondo le stime rese note dal quotidiano inglese "The Evening Advertiser" i danni arrecati allo stadio San Paolo ammontarono a oltre 20mila sterline dell’epoca. Terminati i disordini, fu assegnata la coppa dal vice presidente della Figc, Orfeo Pianelli. Sul sito dello Swindon sono presenti anche una serie di fotografie non "bellicose", che ritraggono i calciatori della squadra inglese che festeggiano la conquista della coppa con alcuni napoletani. Ford l’allenatore effettuò un giro del campo con il trofeo: un onore dovutogli, considerata l’elevata qualità del gioco espressa dai suoi ragazzi. Ma la vergogna degli incidenti restava purtroppo indelebile.

C’è da dire che l’abitudine del pubblico napoletano di frantumare i sedili di travertino si è ripetuta anche in tempi recenti. Basta leggere sul sito http://www.grandenapoli.it/ la cronaca del dopo partita di Napoli – Bologna 1-5 del campionato 2000-2001: "Un inferno: la pioggia di pietre ricavate dai sedili di travertino, gli agenti che svolgevano opera di contenimento per evitare la peggio agli spettatori. Cento facinorosi contro circa 150 tra poliziotti e carabinieri". Insomma, questi tristi avvenimenti potrebbero ripetersi ancora. E’ mai possibile che un pugno di "brave persone" possa mettere sotto scacco l’ordine pubblico e cancellare lo splendido spettacolo di un partita di calcio? La storia sembra non insegnare mai nulla: questo paese ha una memoria troppo corta. Non a caso l’8 dicembre scorso, in occasione della partita di Coppa Italia Napoli-Roma, il teppismo ha superato ogni limite, con due "attacchi" mai accaduti finora: negli incidenti del dopo partita sono stati assaltati il commissariato di Polizia e la sede del quotidiano Cronache di Napoli, situati nelle adiacenze del San Paolo. Dopo questi ultimi fatti di "guerra di popolo" viene alla mente una considerazione di tipo economico: come si potrà trasformare gli stadi italiani in strutture polifunzionali, con esercizi commerciali e multisala cinematografiche, se c'è un pugno di teppisti capace di sfasciare tutto? Chi pagherebbe i danni in quei casi? C’è da scommettere che nessuno aprirebbe un’attività commerciale in uno stadio, considerato l’elevatissimo rischio costituito dal potenziale distruttivo degli ultras. Sicuramente, dopo la solita sequela di sdegno e di analisi sociali, anche gli ultimi incidenti accaduti nel capoluogo campano saranno posti in tutta fretta nell’italico dimenticatoio. Come suol dirsi a Napoli: "Scurdammece ‘o passato!"
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alcune foto della giornata dal sito dello Swindon:
http://www.swindon-town-fc.co.uk/Text.asp?Page=1970_AIC

link originale:
http://marcoliguori.blogspot.com/2008/04/napoli-swindon-town-un-giorno-di.html

    Offline Jiranek

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    « Risposta #1 il: Ottobre 20, 2011, 00:03:06 am »
    Non ero assolutamente a conoscenza di questa finale disputata dal Napoli: noto che la "capa di merda" di alcune persone ha radici profonde nel passato ....
    "........... E allora io non me la prendo tanto col presidente, che è un uomo d'affari e insegue il profitto, ma piuttosto con il tifoso medio del Napoli: troppo credulone, troppo innamorato, troppo irrazionale, troppo manipolabile dalla macchina del consenso mediatico, troppo smemorato. Se vi fanno il gioco delle tre carte e ci mettete sopra tutti i vostri soldi, siete sicuramente vittima di individui senza scrupoli. Ma anche e soprattutto di voi stessi che affidate al destino la speranza di un futuro diverso e migliore. Io invece penso che il futuro si costruisca, che le scarpette da 12 euro non saranno mai sufficienti per vincere una corsa, che se riparti dai presupposti di una provinciale puoi aspirare al massimo a fare la provinciale di lusso. Che non esiste progetto se ogni volta vale tutto e il contrario di tutto. Anche se ti chiami Napoli, l'unica squadra della seconda area metropolitana d'Italia."

       

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