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Topic: Raiz/Mesolella – Dago Red  (Letto 469 volte)

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Offline Sonny Boy

  • Omar Sivori
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« il: Settembre 17, 2014, 17:51:38 pm »
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Disco funambolico tutto giocato intorno alla scommessa di far convivere canzoni diverse, pensando al superamento di identità e culture in un ottica cosmopolita, “Dago Red”, è il nuovo disco firmato da Raiz e Fausto Mesolella. Il cantante napoletano e il chitarrista casertano lavorano insieme da ormai qualche anno, e dalle loro costanti sperimentazioni è nato una eclettico excursus che parte dalla canzone napoletana per raggiungere alcuni classici della musica rock, il tutto impreziosito da suggestioni world, che aprono ad un viaggio attraverso latitudini sonore differenti, ma sorprendentemente unite tra loro. Per l’occasione abbiamo realizzato una doppia intervista nel corso della quale abbiamo approfondito i temi, gli stimoli e le motivazioni di questo progetto, senza dimenticare uno sguardo alle tante attività musicali che caratterizzano i rispettivi percorsi artistici.


Raiz-Noi ci siamo divertiti a fare questo e così è nato “Dago Red”, il cui titolo è abbastanza emblematico e rimanda ad un racconto di John Fante. Poeta della pura identità, John Fante nacque da genitori molisani che si erano trasferiti negli Stati Uniti in California, e non superò mai questa doppia cittadinanza interiore, tutte le complessità portano difficoltà ma dimostrò non solo come è possibile essere più di una cosa nello stesso modo, ma anche che l’identità è spesso una gabbia. Le identità sono una specie di dittature, e chi le difende strenuamente spesso afferma che se si è in un modo bisogna rinunciare ad essere anche altro. Io penso, invece, che l’identità di un uomo sia frutto della propria esperienza, ognuno di noi ha il proprio modo di essere che si può comporre in diversi modi. Si può essere assolutamente napoletani, assolutamente americani, purché si riesca ad esprimere la diversità in un senso. Le diversità devono dialogare e non devono essere usate per combattere. Viviamo una stagione di grande vuoto ideologico, e tutto quello che apparteneva alla politica è stato sostituito da vere o presunte identità a cui le persone ritornano, e parlo del forte nazionalismo, del ritorno all’estremismo religioso, culturalismo, campanilismo, integralismi che spaziano dalla religione alla squadra di calcio. Tutto questo accade perché c’è un grande vuoto. L’identità è una cosa bella, va coltivata la differenza, purché si sappia dialogare e non cercare lo scontro.

Fausto Mesolella – Come ha detto Raiz, eravamo ospiti di Rita Marcotulli per questo progetto dedicato ai Pink Floyd, in quell’occasione abbiamo cominciato a giocare tra una data e l’altra e a fare delle prove nel retropalco. Poi è nata l’idea di fare un po’ di date, e al disco ci siamo arrivati dopo due anni di spettacoli. “Dago Red” artisticamente nasce dall’interesse comune per la musica che abbiamo a trecentosessanta gradi, e quindi ci è venuto spontaneo mettere insieme la tradizione con tutto quello che ci ha attraversato nel corso della nostra storia. Per dirlo in parole povere mentre facciamo un pezzo della tradizione napoletana arriva un brano dei Beatles e si inserisce dentro.

Come avete approcciato l’arrangiamento dei classici della canzone napoletana?
Fausto Mesolella - E’ un lavoro molto semplice perché è stato il mio modo di suonare la chitarra che ci ha condotto a fare questo viaggio. Il disco fondamentalmente è fatto sul due tracce, chitarra e voce. In alcuni pezzi ci sono anche alcuni ospiti come Rita Marcotulli, però essenzialmente il tutto si regge su una chitarra ed una voce, che era la mia idea per questo tipo di produzione.

“Dago Red” è un disco che viaggia su un doppio binario, nel rivendicare la dignità della tradizione napoletana, allo stesso tempo affermate la necessità di creare un punto di contatto con la tradizione rock…

L’ascolto del disco svela un ulteriore elemento, ovvero le radici comuni della formazione artistica di entrambi…
Raiz - L’idea di partire dalla canzone napoletana è stata di Fausto, perché fino a quel momento avevamo fatto brani diversi senza però miscelare le varie tradizioni. Abbiamo registrato nel suo studio a Macerata Campania, in provincia di Caserta, quindi non è nemmeno Napoli, ma è quella zona che amo perché non ha la decadenza della città, ma ancora la forza antica di una terra che si sta trasformando. E’ però una terra disgraziata perché è l’area in cui si è concentrata la più grande speculazione sui rifiuti da parte della camorra. Io sono nato e cresciuto a Napoli però ho un nonno di Aversa e quindi per un quarto sono anch’io di quella terra. Durante le session man mano che ci venivano in mente i brani li abbiamo provati e messi insieme mescelandoli. Il primo brano che abbiamo provato è stato “Lacreme Napulitane” in medley con “Immigrant Punk” dei Gogol Bordello. Il brano in napoletano parla di un emigrante e risale agli anni quaranta, cinquanta, ma c’è un punto di contatto con quello in inglese allorché nel testo di quest’ultimo si canta “Realize me, realize me” ovvero fammi diventare reale, e qui ho pensato alla frase di Mario Merola, che di “Lacreme Napuletane” è stato grande interprete, il quale diceva “I’ so’ carn’ e’ maciell, so’ emigrant”. Gli immigrati che arrivano sulle nostre coste, non sono forse carne da macello anche loro? E’ nato così il parallelismo, e questo fa poi parte della mia storia avendo spesso cantato del grande problema dell’immigrazione. Poi abbiamo provato “Give Me Love” di George Harrison, un brano degli anni settanta nato nel periodo in cui si diffuse il pacifismo, e così ci è sembrato naturale unirlo a “O surdato Nnammurato” che parla di un soldato che va in guerra. Spesso a Napoli questo brano si canta in altri contesti, magari festosi, ma è un brano di guerra, a cui noi abbiamo fatto seguire un brano di pace. La vera marcia in più del disco è però il sound che ha creato Fausto, che è un produttore e un fonico fantastico, è un cultore del suono, e credo abbiamo dato un impronta magica alla mia voce, che ho sentito come mai mi era capitato prima.

Fausto Mesolella – Nella scelta dei brani nulla è casuale. L’immigrato che sta in America è come quello che arriva qui. C’è la fusione di due dolori che si incontrano musicalmente in un certo punto del pezzo. Molti brani sono venuti fuori anche in modo spontaneo, e questo lo si nota anche dalla registrazione che abbiamo fatto. “Give Me Love” di George Harrison che si inserisce in “O surdato Nnammurato”, è la fusione di due brani che parlano di guerra e di pace. Quello che lanciava George Harrison è un messaggio di pace, e noi ci siamo ispirati all’interpretazione di Anna Magnani, quella vera del brano e non quella festosa che di solito si canta.

Uno dei brani più intensi del disco è il medley tra “See Me Feel Me” da “Tommy” dei Who con “Tu Ca Nun Chiagne”….
Raiz - Musicalmente sono due brani che si tengono per mano. E’ come se due persone estranee riuscissero a tenersi per mano, e questo è il fine ultimo del disco: spingere le diversità in qualche modo a confrontarsi e a convivere. Noi respiriamo la stessa aria, mangiamo lo stesso cibo, viviamo delle stesse cose, proviamo gli stessi sentimenti, e così abbiamo il dovere di incontrarci e confrontarci.



Mi ha colpito anche la scelta di riprendere “Maruzzella” nella sua versione in ebraico…
Raiz - Un giorno guardando la televisione israeliana, mi sono fermato a dare uno sguardo a “The Voice” in cui c’era un ragazzo che cantava “Maruzzella” in ebraico, e tutto il pubblico in modo sorprendente cantava il ritornello che sembrava in napoletano, ma che invece dice “Ma Hu Oseh La” che in ebraico vuol dire “Ma che gli fa lui a lei”, perché il brano è stato riscritto nel 1964 con un significato completamente diverso. L’intento ironico però è lo stesso, e il testo parla di una ragazza che sta con un altro, e chi è follemente innamorato di lei si chiede appunto “che gli farà lui a lei”. Chi ha ripreso la canzone e riscritto il testo ha capito profondamente lo spirito della canzone originale. Io non conoscevo questo brano, e così ho chiesto ad una persona anziana la quale mi ha detto che era famosissima molto prima che io nascessi, e non sapeva nemmeno che esistesse un brano originale in napoletano da cui è stata poi fatta la cover in ebraico. Così io gli ho detto che era un brano napoletano famosissimo, e così mi sono andato a rivedere la storia. Questo è meraviglioso, è lo scambio, la musica che attraversa le frontiere, e tal volta riesce ad attraversare la frontiera della guerra. Penso ai brani che erano famosi in Germania e tra gli Americani durante la Seconda Guerra Mondiale, erano talmente belli che superavamo le inimicizie create dalla politica. Per la serie la gente la guerra non la fa mai, ma ce la mandano, e quindi spesso dalla musica nasce il coraggio di ribellarsi. Fondamentalmente ho scritto questo per tutta la mia carriera, questo però ti crea tante di difficoltà. Oggi ci sono tanti stereotipi, di pregiudizi.

Fausto Mesolella – La versione in ebraico di “Maruzzella” me l’ha fatta scoprire Raiz. Come ha detto lui, è un brano molto famoso in Israele, al punto che si canta anche negli stadi. Il testo è molto simpatico, ma la sua scelta è nata sull’idea di far capire che non è la lingua a fare la canzone, ma la melodia che determina poi la lingua.

Paradossalmente oggi invece di andare verso un apertura alla diversità, si va verso l’estremismo e il pregiudizio, ma credo sia colpa della mancanza di cultura…
Raiz - In questi giorni è successa una cosa terribile, ovvero la morte di quel ragazzo che è stato sparato durante la finale di Coppa Italia, e tutti hanno scritto dei pensieri tranne i tifosi a cui apparteneva chi è accusato di questo delitto. A me durante un concerto a Roma verrebbe di fare uno stornello romano, per dire a Roma quanto gli voglio bene, ma facendo questo potrei certamente attirarmi le antipatie dei napoletani. Se tutti pensassero in modo diverso questo non accadrebbe. Se a Napoli cantassi uno stornello romano, sono certo che mi fischierebbero, mi chiamerebbero traditore, perché un napoletano è morto. Perorare la causa della pace è molto difficile. Spesso ho avuto anche delle difficoltà quando dichiari qualcosa che va contro un opinione consolidata di una parte politica. I miei fan che sono tutti di sinistra quando ho detto qualcosa che perorava la pace ma contraddice un pregiudizio che è diventato canonico nella loro parte politica, ti trovi a beccarti manifestazioni contro, bandiere. Ho deciso di fare un pezzo in ebraico anche per dire che il Mediterraneo appartiene alla stessa famiglia umana perché tutti i popoli che si affacciano su questo mare sono simili, dovrebbero perorare le ragioni della pace, e non quelle della guerra, e questo senza stare la a vedere chi ha torto o chi ha ragione perché è tutto molto relativo, senza parteggiare per l’uno o per l’altro. La pace dovrebbe essere un esigenza senza se e senza ma. C’è una grossa faciloneria, e se questo rimanesse semplicemente un pour parler potrebbe anche essere accettabile, ma così nascono slogan che alimentano l’odio, il quale a sua volta fa delle vittime. Quando muore qualcuno e tu invece hai ideato uno slogan per fare il marketing del tuo movimento politico, o perché ti senti figo dicendo queste cose, allora le cose si complicano davvero. Quando si perorano cause ultranazionalistiche in qualunque nazione si va nel terreno dell’orgoglio, della divisa, delle armi, sostenere la convivenza vuol dire partire dalle diversità isolate, fatte di gente che non ammazza e che non fa notizia, è gente che ha poca rilevanza. Ricomporre le differenze è qualcosa di più difficile rispetto a mettere le bombe, a gridare slogan.

Altro brano pregevole è “Campagna” proposta in medley con “Rastaman Chant”…
Fausto Mesolella – Bob Marley nel suo brano parlava del duro lavoro nei campi, e allo stesso modo “Campagna” è un canto di lavoro. La fusione è stata, per così dire anche in questo caso, spontanea.


vi consiglio vivamente di ascoltarlo(è disponibile anche su spotify,rdio,deezer e similia)e poi chiaramente di acquistarlo :ok:

     

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