Post della pagina Pop medicine, un po' tecnico ma chiaro, sulla variante inglese
Ansia da mutazione
Negli ultimi giorni si fa un gran parlare della “variante inglese”, termine con il quale si indica il genotipo virale denominato VUI 202012/01 (Variant Under Investigation year 2020 month 12 variant 01), che sta imperversando a Londra e che sarebbe, secondo quanto raccontato dai media in modo piuttosto drammatico, forse caratterizzato da una maggiore trasmissibilità. Tant'è che pure il governo britannico si è sentito in dovere di lanciare l’allarme, provocando tra le altre cose il blocco dei voli dall’UK verso diversi paesi, Italia inclusa.
Il fiorire di notizie sensazionalistiche ogniqualvolta una “nuova” variante genetica di SARS-CoV-2 viene descritta non è certo una novità: ricordiamoci quando la Gismondo a marzo affermava “troppi morti, forse il virus è mutato”, ricordiamoci dell’aggressivissima “variante serba” sequenziata per volere di Zaia in estate, ricordiamoci della “variante spagnola” (20A.EU1) emersa in Europa verso fine estate ed anch'essa collegata ad una maggiore infettività, ricordiamoci del “mutante dei visoni” identificato in Danimarca. D’altra parte abbiamo anche assistito ad un abuso del discorso sulle mutazioni nella fase discendente tardo-primaverile ed estiva, con considerazioni di tutt'altro tipo fatte spesso e volentieri da chi, per estrazione professionale, avrebbe dovuto parlare più da scienziato e meno da wannabe-politico/opinionista: il cherry-picking messo in atto riprendendo in pompa magna occasionali report di varianti estremamente rare per giustificare il calo dei contagi e certificare decesso clinico del virus (
https://www.facebook.com/medicipop/posts/198555758533785), il continuo strombazzamento sull’omoplasia, erroneamente assimilata ad evidenza di una minore patogenicità (
https://www.facebook.com/medicipop/posts/159781239077904) ed il wishful thinking secondo cui un adattamento all'ospite caratterizzato da una minore aggressività del virus sarebbe stato imminente, non hanno fatto altro che creare una gran confusione nell'opinione pubblica. Insomma, le mutazioni possono essere utilizzate a corrente alterna come uno spauracchio, come scusa per giustificare il fallimento di strategie comunicative o anche come articoli di ottimismo a buon mercato.
In tutto ciò le mutazioni vengono quasi inevitabilmente presentate come qualcosa di strano, di quasi innaturale ed intrinsecamente pericoloso, e ci si dimentica che il genoma virale muta, che continuerà a mutare e che non c’è proprio nulla di strano ed inatteso nell'osservare nuove varianti emergere nel tempo. Chiunque abbia una minima conoscenza di genetica o biologia molecolare sa bene che le mutazioni rappresentano il principale motore dell’evoluzione di tutti gli organismi viventi e che senza di esse non vi sarebbe possibilità di adattamento. Allo stesso tempo, deve essere chiaro che la stragrande maggioranza delle mutazioni genetiche (che, è bene ricordarlo, sono sempre il prodotto di un processo casuale) sono deleterie o neutrali, e che solo una piccolissima frazione di esse possono (potenzialmente) portare ad un vantaggio evolutivo, determinando dunque un incremento di fitness. Ciò che non è affatto casuale è invece la loro eventuale selezione, che ne garantisce il mantenimento e a volte l’aumento di frequenza nella popolazione. Il 10 giugno scrivevo in un post (
https://www.facebook.com/medicipop/posts/126675242388504) che secondo stime derivanti da studi di genomica epidemiologica il numero medio di mutazioni che il genoma di SARS-CoV-2 avrebbe potuto accumulare nell'arco di 12 mesi era di circa 27 (su circa 30mila nucleotidi). Senza alcuna sorpresa la stima odierna, ad oltre 5 mesi di distanza, è sostanzialmente in linea con quanto stimato: 22,91. Di fatto il virus sta evolvendo con la velocità che era stata prevista fin dall'inizio. Quello che però chi si occupa di evoluzione molecolare non può prevedere, perché il suo mestiere non è quello del cartomante, è la direzione in cui l’evoluzione spingerà in termini di funzione. Quel che è certo è che la maggior parte delle (molte) mutazioni registrate negli oltre 275mila genomi di SARS-CoV-2 sequenziati fino ad oggi sono utili come marker filogenetici, per studiare le dinamiche epidemiologiche di trasmissione del virus, ma hanno scarso o nessun rilievo dal punto di vista funzionale, e solo una sparuta minoranza possono avere dei risvolti funzionali significativi.
Ma veniamo al punto: che cosa si sa sulla variante inglese VUI 202012/01? Ma soprattutto, questo clamore mediatico è giustificato ed il comune cittadino ha qualche motivo di preoccuparsene? Questa variante è certamente “curiosa”, in quanto presenta molteplici mutazioni a carico de gene S, che codifica la proteina Spike ed è quello che in ogni caso che è caratterizzato da un tasso di evoluzione molecolare maggiore tra tutti i geni di SARS-CoV-2. Nel dettaglio si tratta (rispetto a Wuhan-01) di: N501Y, A570D, D614G, P681H, T716I, S982A, D1118H, oltre alla presenza di due delezioni, ovvero quelle a carico delle posizioni 69-70 e 145. Quella attorno a cui ruota tutto per quanto riguarda un eventuale effetto funzionale è la N501Y, in quanto è l’unica coinvolta direttamente nell'interfaccia di legame con il recettore ACE2, fermo restando che tutte le altre, in combinazione tra loro, potrebbero avere un effetto significativo sulla struttura 3D della proteina, influenzandone altri aspetti. Tutte le mutazioni sono evidenziate nella struttura mostrata nella figura sotto (tratta da GISAID): N501Y in arancio, le mutazioni non-sinonime in blu, le delezioni in azzurro; ACE2 è mostrata in verde). Varrebbe la pena di analizzarle una ad una, ma lascio questo approfondimento ad un’appendice in fondo al testo, per non spezzare troppo il discorso. Basti per ora sapere che nessuna di queste mutazioni (ad eccezione di S982A) è propriamente “nuova”, visto che la maggior parte di esse erano già emerse indipendentemente in svariati paesi nei mesi scorsi senza portare a esplosioni di contagi, finendo per portare anzi in molti casi a dei binari morti evolutivi.
Visto e considerato quanto appena detto, come mai la presenza in combinazione di queste mutazioni viene oggi considerata oggi un grosso pericolo? Per almeno un paio di motivi, che però costituiscono per ora soltanto “circumnstantial evidence”. In primis, si è osservata una forte e relativamente rapida espansione di questo lineage evolutivo a discapito di altri nel sud dell’Inghilterra, ed in particolare a Londra, tanto che le autorità hanno fatto sapere che oltre il 60% dei casi identificati negli ultimi giorni corrisponda a questo genotipo. Non ho dubbi che le autorità inglesi abbiano dati più dettagliati rispetto a quelli reperibili da GISAID, ma va detto chiaramente che questa, pur in espansione, continua ad essere una variante minoritaria in Inghilterra, rappresentando “solo” il 28% dei genomi sequenziati a dicembre. Ci tengo quindi a precisare che l’attuale ri-esplosione dei casi nel paese NON può essere ricondotta solo ed esclusivamente all'emergenza di questa variante, e che il transitorio calo dei contagi visto il mese scorso era avvenuto in una situazione in cui la nuova variante circolava già a livelli piuttosto importanti.
In secondo luogo, N501Y è una delle tante varianti che in vitro, tramite saggi di deep mutational scanning, hanno mostrato di portare ad un moderato aumento nell'affinità di legame con ACE2 (vedasi
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32587970/), e da qui il timore riguardo a possibili implicazioni nella capacità del virus di attaccare le cellule bersaglio dell’ospite, con impatto sulla trasmissibilità. Resta però molto difficile stabilire, in assenza di dati funzionali, se vi possa essere un legame tra l’aumento di frequenza di una variante genetica nel tempo ed una sua selezione positiva legata ad un aumento di fitness, oppure se tale shift di frequenza sia piuttosto legato a dinamiche demografico/epidemiologiche. Per questo citerò un estratto da un recente lavoro del gruppo di Fracois Balloux, che non potrebbe descrivere meglio la cautela che andrebbe sempre usata davanti a dati di questo tipo: “ We strongly caution that efforts to determine whether any specific mutation contributes to a change in viral phenotype, using solely genomic approaches, rely on the ability to distinguish between changes in allele frequency due to demographic or epidemiological processes, compared to those driven by selection” -
https://doi.org/10.1038/s41467-020-19818-2Di problemi eventuali legati all'efficacia dei vaccini per ora non ha senso parlarne, perché non vi è alcuna evidenza in questo senso e qualsiasi affermazione fatta in merito resta pura speculazione.
N501Y resta però un ottimo esempio per spiegare meglio che cosa si intende per omoplasia, sperando così di correggere un il maldestro messaggio che è stato veicolato negli scorsi mesi da alcuni, ovvero omoplasia = adattamento all’ospite = minor patogenicità del virus. Lasciatemi dire che questo messaggio non è solo fuorviante, ma è una stupidaggine, in quanto (i) l’omoplasia non è necessariamente legata ad una comune pressione selettiva, ma può essere osservata anche per genetic drift e (ii) l’adattamento all’ospite in una popolazione largamente suscettibile per un virus altamente trasmissibile e tutto sommato scarsamente letale non è affatto atteso portare ad una riduzione di patogenicità nel breve periodo.
Curiosamente, proprio ieri il Sud Africa, dove i contagi sono in forte ascesa, ha annunciato la presenza di una nuova variante, la 501.V2, che di fatto è caratterizzata dalla presenza di N501Y nelle Spike, ma senza associazione con le altre mutazioni presenti in VUI 202012/01. Questa variante, che oggi rappresenta oltre il 60% dei casi sudafricani, è ritenuta essere (forse) maggiormente trasmissibile proprio per gli stessi motivi citati sopra: il suo progressivo aumento di frequenza nel tempo e la posizione della mutazione nell’interfaccia di interazione con ACE2.
Nell’albero filogenetico mostrato sotto sono indicati i due lineage evolutivi in cui è sorta, indipendentemente, la mutazione: questo è un caso di omoplasia. I cerchi colorati indicano i genotipi sequenziati in tutto il mondo dal primo novembre ad oggi, che mostrano quanto sia elevata la diversità genetica globale in questo momento. Da notare anche la recente comparsa in un lineage distinto di N501T, di cui non si parla, ma che tuttavia è in vitro caratterizzata dalle stesse identiche proprietà di N501Y, e che si sta oggi diffondendo in alcuni paesi. Come d’altronde molte, moltissime altre varianti che hanno mostrato in vitro spiccate proprietà di immune evasion (anche nei confronti di molti degli anticorpi monoclonali in fase avanzata di trials clinici), che andranno ovviamente monitorate nei prossimi mesi con un’attenta sorveglianza molecolare.
Serve dunque preoccuparsi? No, o meglio non troppo. Con i dati a nostra disposizione, è decisamente presto per dire se il diffondersi di questa variante possa avere un impatto significativo su R (e dunque sulle nostre capacità di contenimento), ed in ogni caso nulla cambia per quanto riguarda le precauzioni che tutti noi saremo chiamati a continuare ad adottare nei prossimi mesi. Il blocco odierno dei voli dall’UK è una misura alquanto bislacca, in quanto la variante si è diffusa a Londra fin da settembre, in una delle città più popolose, internazionali e connesse al mondo. La stessa variante è già presente almeno dal 30 novembre in Australia, addirittura dal 9 novembre in Danimarca, e c’è già evidenza della sua presenza in Olanda e a Gibilterra. E, senza alcun dubbio, è già arrivata più o meno dovunque e se dovrà diffondersi perché più trasmissibile, finirà per farlo in ogni caso indipendentemente da questa misura.
Quanto a noi, se anche tale variante fosse già presente sul territorio italiano non avremmo alcun modo di saperlo, visto che dal primo novembre ad oggi abbiamo sequenziato la bellezza di 45 genomi (zero a dicembre), contro i 22970 sequenziati nella sola Inghilterra nello stesso periodo. Ma siamo in buona compagnia: se anche dovesse emergere oggi una qualsiasi nuova variante più trasmissibile, più letale, o meno letale, in Germania, in India, in Congo o in Brasile, non ce ne accorgeremmo nemmeno per almeno un paio di mesi. Non esistono o quasi programma di sorveglianza molecolare, non esistono o quasi centri di sequenziamento di riferimento nazionali: insomma, questa non è considerata affatto una priorità per quasi nessun paese, salvo alcune eccellenti eccezioni.
APPENDICE – mutazioni associate a VUI 202012/01
-D614G: inutile parlarne ulteriormente come “variante”, perché maggioritaria fin da subito in Europa e presente ormai in quasi il 100% dei genotipi circolanti in tutto il mondo. Fa parte delbackbone genetico sul quale le altre mutazioni sono intervenute in un secondo momento.
-A570D: individuata per la prima volta indovinate dove? In Italia (Teramo), il 27 aprile scorso, dove non ha portato ad alcuno sviluppo epidemiologico. Ricomparsa poi a settembre in UK, associata a VUI 202012/01.
- P681H: altra variante tutt’altro che “nuova”, visto che il suo primo report risale a marzo. È emersa indipendentemente diverse volte, senza mai portare a significativi sviluppi epidemiologici in alcun paese.
- T716I: altra mutazione decisamente “datata”, visto che il 18 marzo veniva isolata in USA, e il 10 aprile in Galles. Vale lo stesso identico discorso fatto sopra per P681H.
- S982A: questa variante è l’unica che caratterizza in modo inequivoco la VUI 202012/01. Prima data di individuazione: 20 settembre 2020.
- D1118H: curiosamente descritta un’unica volta a marzo in Minnesota. Il fatto che poi ci sia un buco di 9 mesi fino alla sua ricomparsa in associazione con le altre a settembre indica abbastanza chiaramente che il lineage evolutivo originario americano in cui era presente non abbia portato ad alcuno sviluppo.
-H60Del e V70 Del: associate l’una all’altra, non rappresentano di certo una novità: già descritte (in associazione ad una delezione più grossa) a fine gennaio in Malaysia, la ritroviamo poi qua e là (a bassa frequenza) in vari paesi ed in lineage evolutivi distinti. Da notare che le stesse delezioni sono presenti anche nelle varianti riscontrate nei visoni danesi. Vista la loro ricorrenza, si tratta certamente di una regione che strutturalmente ben tollera la delezione di alcuni residui. Per quanto riguarda la rilevanza funzionale di questa delezione, per i più curiosi consiglio la lettura di
https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.12.14.422555v2-Y145Del: anche questa non è una novità: primo caso il 27 gennaio in India, poi presente tra marzo ed aprile in UK, Olanda, Italia, Slovenia, Canada, Francia, Belgio, ecc., pur senza mai acquisire un frequenza di rilievo (fino ad oggi).
-N501Y: anche questa non è, di per sé, una variante “nuova”. Identificata per la prima volta il 21 aprile a New York, dove non ha portato ad ulteriori sviluppi, è ricomparsa indipendentemente in Australia a giugno, dove non è mai diventata dominante ed è finita per scomparire, per poi ricomparire sporadicamente in USA prima ed in UK poi, fino a raggiungere oggi, in associazione a tutte le altre sopracitate mutazioni, un livello di circolazione piuttosto significativo con la VUI 202012/01.
A questo aggiungo che vi sono altre mutazioni, non a carico della Spike, associate a VUI 202012/01, tra le quali quelle certamente di maggior rilievo riguardano NS8, uno dei geni la cui distribuzione tassonomica è ristretta a pochi membri dei sarbecovirus, che ha una nota tendenza ad accumulare delezioni in-frame (come qualcuno forse ricorderà pensando ad una variante identificata ad aprile a Singapore, (
https://dx.doi.org/10.1128/mBio.01610-20) e che, in questo caso presenta un codone di stop anticipato, che risulta nella produzione di una proteina tronca.
Nei commenti sotto trovate alcune possibili spiegazioni, tratte da una nota tecnica dell'ECDC, del motivo per cui tante mutazioni possano essere apparse simultaneamente, ed apparentemente in un lasso di tempo brevissimo, che è forse la cosa che più spaventa per quanto riguarda le possibili implicazioni pratiche per quanto riguarda gli aspetti prettamente immunologici, come sottolineato dall'ottimo intervento di Giorgio Gilestro.
Post di Guorgio GilestroOttima spiegazione (e grazie per l'appunto doveroso sull' omeoplasia, finalmente). Solo una aggiunta. Il motivo principale per essere preoccupati è che B.1.1.7 ha subito uno shift in termini di mutazioni accumulate rispetto allo strain parentale e questo salto in termine di mutazioni (unito al fatto che siano principalmente su S) si può spiegare con l'ipotesi che il paziente zero di questa nuova linea fosse un paziente cronico probabilmente immunodepresso e trattato con siero. questa è una delle poche (l'unica?) condizioni in cui questi salti quantitative sono stati osservati in precedenza. Il motivo per preoccuparsi è che una linea che si sviluppa con tale pressione selettiva è necessariamente una linea che scappa agli anticorpi. Tra qualche giorno sapremo se questo è il caso, almeno in vitro.