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Yavonz™ Original

    Diego Armando Maradona
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Alla fine dei riti, le femmine che assistevano con i genitori dovevano ripulire il tutto. Si lavorava tutta la notte. Gli adulti (anche il padre di L.) tagliavano i corpi facendo uso anche di seghe circolari.

Tutto doveva sparire.

La madre di L. e P. in quel luogo era vestita da suora e si faceva chiamare suor Angelica.

In una occasione arrivarono cassoni carichi di ubriachi e barboni. Anche il padre delle sorelle e un loro zio vennero utilizzati per prelevarli di notte alla stazione di B.

Anch’essi, dopo essere stati sottoposti a sperimentazioni varie, fecero la stessa fine.

Molti dei cadaveri, non potendo essere smaltiti in breve tempo, vennero sepolti nelle vecchie cappelle di famiglia e nei giardini del cimitero di O., ove esiste ancora oggi il santuario della Madonna nera.

In quello stesso periodo, presso l’ospedale pubblico di B. e presso una locale clinica privata di B., vennero compiuti esperimenti sul corpo e sul cervello, con scosse elettriche, iniezioni, intubazioni e operazioni strane soprattutto su adulti.

Gli esperimenti venivano praticati da alcuni medici americani e tedeschi che insegnavano anche ai dottori del posto. Uno di questi era G.G., un altro B., ancora oggi neuropsichiatra infantile al consultorio di B.

Questi “esperti” stranieri vennero fatti venire tramite alcuni industriali di B.

Nella sede della associazione venivano portate a fare dei test attitudinali anche una decina di bambine per volta.

Sedute davanti a un tavolo ovale con grande schermo sul fondo, ognuna aveva un pulsante in mano e un casco in testa con fili elettrici collegati al casco e alle mani.

Iniziava la proiezione con filmati di cartoni oppure spot pubblicitari tipo “Ava come lava”, “tu non sei nero sei solo sporco”, “le stelle di Negroni sono tante … qualità”. La voce che usciva dal casco era tenue e dolce, ma con il velocizzarsi delle immagini essa si faceva sempre più tetra e metallica. I cartoni venivano interrotti con strane immagini, ad es.: una macchina rossa viaggiava a forte velocità; dal casco veniva impartito il comando di fermarla con il pulsante, a chi non lo faceva veniva data una lieve scossa elettrica. Poi sullo schermo appariva un grande occhio e la voce proveniente dal casco iniziava a impartire ordini; con tono freddo e una ripetuta frequenza la voce diceva: “Se fallimento ci sarà solo la morte porre fine al tuo problema potrà. I bambini non devono piangere, sporcano il silenzio. I bambini non devono nascere. Sesso non amore. Bambini kaputt. Il tempio del potere va venerato con il silenzio e la devozione. Assoluta è l’obbedienza che si deve al venerabile. Il venerabile vede tutto con il suo occhio che dall’alto controlla e legge dentro al tuo cervello, lui tutto può, lui tutto sa. Ogni pensiero traditore verrà punito con la morte. Il venerabile siede sopra a Dio e più di lui potere ha. Non pensare, guarda e segui il comando”.

Il progetto programmato dagli americani si chiamava “Gatto–Topo”.

I gatti erano destinati, tramite i vari addestramenti e lavaggi del cervello, a diventare esecutori, i topi erano coloro che dovevano morire.

L., essendo stata catalogata “idiota”, arrivò solo fino a un certo punto del programma, poi fu scartata e non vi ebbe più accesso.

Gli esperimenti a O.B. cessarono in seguito alla occasionale uccisione, durante le orge, di un capo nazista.

Su L. – a quanto dalla stessa rievocato – vennero ripetutamente inflitte scosse elettriche. Gli elettrodi partivano dalla testa ai piedi.

Un altro esperimento fu quello di infilarle aghi e un casco collegato a dei fili e ad una macchina che emetteva forti vibrazioni.

A O.B., per punizione, oltre a varie umiliazioni, venivano strappate le unghie dei piedi e infilati lunghi aghi che davano la scossa.

Successivamente a questi fatti ne seguirono, per qualche tempo, anche altri (sia pur di minore gravità) in occasione di colonie estive per bambini organizzate da B. Anche in questi casi (che ci si riserva di descrivere più compiutamente in prosieguo riguardando fatti verificatisi in altre località) si riscontrano analoghi episodi. www.nocensura.com
2. Caso P.B.

A differenza di L.B., la sorella gemella P. è rimasta coinvolta più a lungo nelle esperienze citate e con tappe successive.

Unica delle tre pazienti, le ha proseguite oltre i dieci anni alla clinica V. e alla sede della associazione.

Il suo addestramento è dunque continuato anche dopo i venti anni, con test di abilità sempre più rigorosi (e angosciosi), per consentire una sua utilizzazione attiva.

Solo nel periodo più recente essa ha manifestato la sua disponibilità a denunciare i fatti, pian piano riuscendo a rievocare episodi da lei vissuti in stato di dissociazione e condizionamento mentale, e, quindi, in altra personalità.

Determinanti sono stati i suoi ricordi (convergenti con quelli della sorella) nella parte in cui hanno recentemente consentito di ricostruire particolari significativi relativi ai “festini” organizzati nella villa di Como e di riconoscere la villa stessa.

L’edificio si identifica nella villa del B.

Fu in questi luoghi che lei e la sorella vennero condotte in diversi fine settimana negli anni 1964-1965.

Anche se lontani nel tempo, tali fatti risulteranno di estrema importanza perché susseguiti da altri ad essi ricollegati e da questi appare possibile tentare di ricostruire “l’organizzazione” di affiliati in qualche modo di certo tutt’ora operante.

L’edificio in questione viene descritto minutamente come una costruzione molto articolata con un grande parco. E’ raggiungibile solo con le barche. L’imbarco avveniva, allora, a O.

A quei festini parteciparono allora anche altre famiglie e numerosi personaggi che apparivano importanti (politici, militari, appartenenti al mondo dello spettacolo, ecc.), talora anche con compagnie femminili.

Si vestivano in costumi (tipo festa in maschera).

Compivano atti sessuali di gruppo utilizzando i bambini con cattiveria e torture.

Alcuni filmavano questi rapporti.

Nelle grotte sotto la villa venivano allevati alcuni coccodrilli e grossi serpenti, ai quali venivano dati in pasto i bambini morti.

A volte vi era un signore che appariva un santone. Aveva il compito di educare i bambini al coraggio obbligandoli a buttarsi in una vasca in cui vi era un coccodrillo. Era necessaria raggiungere i bordi per salvarsi.

I bambini venivano anche fatti combattere tra di loro e costretti a bere bevande fatte con foglie.

Anche qui venivano organizzati “giochi”. Uno di questi era quello del “coniglio”, scelto tra i bambini. Gli altri bambini ed essi stessi dovevano cercarlo nel grosso parco, ove si trovavano le trappole. Il designato veniva poi ammazzato, scuoiato e servito su un vassoio.

La sorella P. tentò il suicidio in seguito ad una crisi esistenziale (così definita dalla psichiatra) il 28 dicembre 1988.

Otto mesi dopo si suicidò una sua amica di nome I.M., strangolandosi nel letto nell’agosto del 1989.

La sorella maggiore di questa ragazza tentò più volte il suicidio e tentò anche di uccidere il figlio di pochi mesi.

Il 9 febbraio del 1994 si suicidò un’altra amica buttandosi da un ponte.

Entrambe queste ragazze erano state anch’esse vittime a O.B.
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3. Caso K.

K. era nata a I. il 29 marzo 1969, terza di sei figli M., F., Mo., D.

Il padre, G., fu una specie di avventuriero, abusante sessuale delle figlie, piccolo truffatore, vincitore in una nota trasmissione televisiva, assassino dell’amante e suicida in carcere pochi giorni dopo l’arresto in flagrante.

La madre fu alcoolista, incendiaria (secondo un figlio tre volte), tranquillamente confessa (a proposito dell’incendio è stata molto precisa e quasi fiera del fatto): successivamente all’ultimo incendio è a carico dei servizi psichiatrici e tra un ricovero e l’altro vive in un altro alloggio.

K. subì le prime violenze in Sardegna.

Assieme al fratello S. fu, nel ’74, portata via dal collegio delle suore di C. Subì quindi varie vicissitudini, non sistematiche, a Torino.

Venne usata in messe nere (che sembrano riconducibili ai rituali della Loggia L.) tre volte nel marzo del 1980.


Il 24 dicembre 1991, K. Iniziò il trattamento di psicoterapia presentandosi con il cognome della famiglia adottiva.

Il motivo principale addotto come necessità di cura era un sintomo fisico: un sanguinamento vaginale considerato ingiustificato dal ginecologo: esso infatti cessò quando poco per volta si rivelò trattarsi di un “rivissuto” abusi sessuale da parte di una suora del collegio in S. (nel 1972 circa).

Fin dalle prime volte in cui veniva da sola (in seguito venne quasi sempre accompagnata dal suo partner di allora che fu di grandissimo aiuto) piuttosto che parlare disegnava e scriveva.

Il suo primo foglio (All. 3) rappresenta: due schizzi di facce, una di bambina senza lineamenti con i capelli a caschetto, l’altra di donna con le sole labbra e pettinata in modo particolare – un grande punto interrogativo, un fiorellino e parole scritte in stampatello grande – “viaggi, uscire, scappare, conoscere, rifugiarsi. Femminilità respinta, noia. Velo, mistero, buio, nascosto, ansia… voglio stare tranquilla”.

Per tutto il corso della cura, si è cercato di permetterle un orario senza limitazioni – affinché i rivissuti potessero essere raccolti contestualmente al loro emergere – consentendole di telefonare ogni volta che ne sentisse il bisogno (nel 1994 le telefonate furono 535).

Già nei disegni e scritti del ’92 comparvero anticipazioni su alcuni fatti che sarebbero stati approfonditi sei anni dopo: ad esempio raffigurazioni di “caschi” e di apparecchiature collegate al cervello.

Solo nel ’98, improvvisamente, durante una riunione di gruppo, l’aiuto reciproco intercorso tra L. e K., tra K. e P. di rivissuti analoghi ma ancora incerti, permise loro di migliorare nei ricordi relativi ai “caschi”, anche se in ordine a episodi avvenuti in tempi e luoghi diversi e con particolari significati ben differenti.

Il terzo e ultimo incendio appiccato dalla madre di K. avvenne il 6 gennaio del 1980, mentre nell’alloggio si trovava anche K.: questo episodio è sicuramente confermato.

K. presenta una vasta e profonda cicatrice – tipo ustione – nella regione glutea sinistra: il “rivissuto dell’incendio si sviluppò estesamente durante parecchie settimane (a partire dal 2 settembre 1992) con disegni molto precisi e con il riattivarsi dei sintomi fisici tipici degli ustionati (dimagrimento rapidissimo, irritazione della bocca, faringe, bronchi, esofago, tosse, ecc.): senza poter però trovare alcun riscontro di ricovero in qualsivoglia ospedale, laddove invece i disegni e le scritte annesse indicavano chiaramente una situazione di ricovero ospedaliero (compreso il particolare di una stanza con vasi di piante grasse sul davanzale).

In questo caso può constatarsi una differenza tra ricordi veri e “ricordi manipolati”: la cicatrice esiste ed è incontrovertibile; l’incendio è senza dubbio esistito – presente nelle concordi testimonianze e nel fatto che l’alloggio risulta ancora annerito anche vent’anni dopo – ; la sindrome da ustioni, da come è stata rivissuta è molto probabile che sia esistita, ma non è documentata.

Comunque i “ricordi veri” smentiscono quella che si è rivelata essere soltanto una specie di illazione pseudo-logica o un conglobamento di fatti diversi: se la “memoria vera” afferma cioè “non essere stata l’incendio la causa della cicatrice”, al di là di quanto parrebbe logico, ciò può rendere più attendibili altri ricordi rievocati attraverso rivissuti conclusivi, soggettivi e oggettivi, coordinanti tempi e situazioni.

Esiste ad esempio un disegno del ’92 (All. 3) in cui sullo stesso foglio si trova la prima delle rappresentazioni del “casco” vicino alla gamba ustionata affiancata ad un punto interrogativo: con un divario di sei anni, i “caschi”, l’addestramento, le basi NATO, gli esperimenti “spaziali” dei primi anni ’70 in Sardegna e probabilmente Francia meridionale si sono precisati nella memoria a partire soltanto dall’estate del ’98 e l’oscillazione dei rivissuti, per ora del tutto incerti con un unico dato: malessere immediato che fa rifuggire dal pensare a qualsiasi cosa riguardante la cicatrice.

In sostanza dall’esame coordinato dei rivissuti e delle ricostruzioni si dovrebbe concludere che detta cicatrice costituisca traccia fisica di un esperimento eseguito sulla paziente.

Nel periodo 1992-1994 la cura proseguì in modo intensivo: vennero alla memoria parecchi episodi molto traumatizzanti riguardanti la famiglia e in particolare una aggressione subita del tipo “arancia meccanica”.

Venne chiarita la crisi coniugale dei genitori, gli eccessi della madre culminati nell’incendio, il ricovero di costei in casa di cura, la crisi del padre con l’assassinio finale dell’amante…, il ricovero dei figli in una Comunità alloggio (“la Tenda”), le proposte di adozione, l’adozione definitiva nella famiglia di una delle assistenti della comunità, M. sposata a G. E infine, nel ’91, il trasferimento a casa di M.B. e l’inizio della terapia.

Dal punto di vista tecnico la cura non sarebbe stata possibile senza la presenza costante e l’abnegazione di M.B. Ad esempio nella vacanze del ’94 una grave crisi suicidiaria (per precipitazione da una scogliera) venne da lui sventata. La gestione delle peggiori crisi (da lui chiamate “teatrini”) fu controllato introducendo la presenza del medico attraverso un telefono a viva-voce. A lui fu possibile affidare l’uso – saltuario ed efficacissimo all’occorrenza – di tranquillizzanti (lorazepam, sufficiente in dosi molto basse); tale farmaco agisce infatti come una relativa anestesia che può aiutare a meglio sopportare le riattivate sofferenze.

Con l’aiuto di M.B. i ricordi poterono dunque essere trasmessi anche indipendentemente dalle sedute e dalle telefonate volontarie di K. (vedi ad es. una delle giaculatorie delle messe nere trascritte durante il rivissuto di K.).

Rilevante è un episodio emerso il 30 settembre 1992, data in cui K. riempì un foglio di scritte (All. 3). In esso era scritto in stampatello: “Prima della comunità o dopo? In via Servais! Durante il fatidico week end passato con mia madre?” – il week end dell’incendio – e scontornato: “Nervoso mal di pancia” “buio” e ancora in piccolo: “buio, buio, buio”. Soprattutto lo riempie completamente di una parola in corsivo con scrittura non sua: “C., C., C…”; in fondo al foglio, sempre in un corsivo e una volta sola, “G.”.

Dopo gravissime e prolungate crisi con spunti anche furiosamente aggressivi, il 29 dicembre 1994, ore 22,40 in una seduta a tempo indeterminato K. descrisse la sua partecipazione alle messe nere.

Da allora molti dei capitoli accennati e incompiuti si chiarirono.

In via C. abitava R.C. un piccolo pregiudicato amico di G.. Dopo l’incendio e il ricovero della madre, K. era stata data in affidamento alla maestra C. (assieme a G.L., il sabato, R. prelevava K. dall’affidataria, la conduceva a casa sua in via C. (dove abitava ed abita tuttora), la violentava in più modi (K. non aveva ancora 11 anni) ed infine la accompagnava – almeno per tre settimane di seguito – in una villa sulla collina ove avvenivano messe nere; per poi restituirla la domenica alla maestra affidataria.

La crisi di violenza e disperazione di K. con le aggressioni mirate contro M. appartenevano al rivissuto di “via C.”, e M. fungeva da transfert di R.

Dopo questo episodio si susseguirono crisi violentissime di malessere e terrore. Scene di terrore insopportabile segnalarono riconoscimenti. Episodi già comparsi di improvviso piombare in una condizione catatonica – cioè di apparente “sonno” ma al contrario seduta dritta e rigida (e con molta sofferenza soggettiva) – divennero molto più frequenti e tipici allorquando ci si stava avvicinando ad un particolare importante (ad es. in una perlustrazione con M. per cercare “la Villa” cadde in questo stato passando vicino ad un edificio in apparenza qualsiasi: sulla base di un controllo eseguito con la guida telefonica ci si accorse che si trattava di un immobile molto noto).

Piccole dosi di “Lorazepam” riuscirono a far svoltare i “teatrini”, talora carichi di violenza e di opposizione, in pianto e in un incremento dei rivissuti.

K. si rivelò decisa a denunciare le messe nere e i “mollicci” partecipanti e a chiedere aiuto a tutti quelli con cui aveva avuto a che fare allora (le assistenti sociali; don M. il fondatore della Comunità alloggio e le sue assistenti; la madre; e soprattutto la madre adottiva).

Il giorno 25 febbraio ’97 in un faticosissimo rivissuto K. ricordò a memoria (come per le altre pseudo-preghiere) il testo completo della peggiore di esse (All. 3).

Negli anni 1998-99, in un periodo di avidità di letture, interessi storici e filosofici, avvenne uno sblocco di rivissuti riguardanti vicende di tutt’altra natura rispetto a quelle precedenti.

Sino ad allora era parsa esser stata solo vittima.

Da questi ultimi “rivissuti” relativi all’epoca in cui era vissuta in Sardegna (nel 1974-1975), risultò esser stata anche addestrata a divenire carnefice con l’inizio di un vero e proprio addestramento militare.

Tali ricordi presentano evidenti coincidenze di contenuto con particolari emersi nei rivissuti delle altre due pazienti L.B. e P.B., in particolare nei fatti che si riconducono alle esperienze di queste vissute nella villa sul lago di Como.

Le più rilevanti coincidenze riguardano l’inquadramento dei bambini nei c.d. “gatti” e “topi”.

I bambini – a cominciare da più o meno quattro anni – venivano divisi in due gruppi: quelli inaffidabili, destinati ad essere usati come “cavie” o comunque sacrificati, i “topi”. Ad esempio L., la ribelle, era un “topo”.

Per i bambini che apparivano idonei – e che venivano definiti i “gatti” – il percorso doveva proseguire fino all’età adulta.

Particolari significativi

Si allegano alcuni manoscritti delle tre pazienti (All. 4).

In relazione alle particolarità delle loro famiglie, l’esponente Dott. XXXX ha potuto riscontrare uniformità nelle effettuate audizioni, estese, per quanto possibile, anche ai familiari indicati.

Si allega ancora documentazione varia relativa a O.B., alla setta degli E. e alla loggia L. (All. 5).

Quanto ai fatti essenziali sui quali viene prospettata l’opportunità di intervento della magistratura, si precisa che, nei limiti consentiti a questa parte, si sono potute constatare analogie e situazioni sovrapponibili tra le esperienze esposte dalle tre pazienti e analoghi casi riguardanti individui stranieri (All. 6).

Esistono in particolare alcuni riferimenti relativi a due soggetti americani (uno dei quali residente in passato a New York ora a Princeville Hawaii) – con cui si è in contatto – i quali sarebbero incorsi a Como in esperienze rapportabili a quelle descritte dalle esponenti (All. 7).

L.B. ha fornito alcune informazioni sulle persone di L.: G.G. è, in tale paese, attualmente medico condotto specialista in chirurgia, cardiologia, pediatria e igiene; D.F.P., ora ottantenne e in precarie condizioni di salute, era alla guida della I.; nella villa gli abitanti del paese sostengono vengano tenute anche oggi sedute sataniche.
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