
C’è chi ci crede, come il prof. Roy Mackal, biologo in pensione dell’Università di Chicago ora 86enne, che trenta anni fa organizzò due spedizioni alla ricerca del Mokele-mbembe, “parente” del mostro di Loch Ness, in quello che oggi è il Congo Brazzaville. Mokele-mbembe, nella lingua dei pigmei che abitano una delle ultime zone inesplorate del pianeta, significa “colui che ferma il fluire dei diumi”. Secondo Paul Ohlin, assistente allo sviluppo che ha vissuto per più di 10 anni con i Bayaka del Congo e la Repubblica Centrafricana, la parola significa anche “arcobaleno” per significare qualcosa di misterioso. “La gente che vive nella zona, non a alcun dubbio sull’esistenza della creatura”, conferma però Ohlin.
Fino ad oggi, sono state orgnizzate più di cinquanta spedizioni nella vasta zona di 66’000 km quadrati della palude di Likouala e lago Tele, che è largo circa 5 km. Ma fino ad ora nessuna traccia della misteriosa creatura, tranne la descrizione di un’orma da parte di un missionario francese nel lontano 1776. I pigmei però l’hanno visto più volte e tutti quanti, anche tra chi non ha contatto con l’altro, danno una descrizione più o meno coerente. Sarebbe una creatura simile ad un enorme rettile con un lungo collo e lunga coda che, nonostante sia erbivoro, è aggressivo nei confronti degli umani e ruggisce. Preferisce però rimanere nell’acqua.
Il sogno del prof. Mackal è quello di essere ancora in vita il giorno in cui si dovesse scoprire l’esistenza dell’animale. Forse i racconti sono un po’ esagerati, ma è indubbio, almeno secondo lui, che la creatura esiste e aspetta solo di essere scoperta. D’altronde, anche l’okapi che vive nella zona, chiamato l’unicorno d’Africa proprio perché misterioso e leggendario, un bel giorno del 1901 è apparso ai zoologi che hanno potuto studiarlo e classificarlo. Soltanto quest’anno è stata scoperta una scimmia senza naso in una foresta sperduta del Mynamar. Insomma, chissà quanti misteri ci riserva ancora questo pianeta.