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image Sonny Boy:
Squadra del cuore:
Giugno 14, 2011, 11:50:10 am

SIRIA UNO STUDENTE AMERICANO FUORI CORSO DIETRO LA «BUFALA» MONDIALE
Il caso della falsa Amina. Così la censura dei regimi fa nascere leggende online
Rivolte digitali. E adesso chi paga per gli enormi danni alla credibilità di chi si ribella via Internet ai dittatori?

 NEW YORK - «E' la dimostrazione che il "citizen journalism" va preso con le molle. La prova che il lavoro di selezione e verifica, oltre che di ricerca di materiale originale, da parte dei professionisti dell'informazione è indispensabile: le storie veicolate su Internet non possono essere prese a scatola chiusa». «Ma no, lasciate stare Internet. Prendetevela piuttosto coi giornalisti professionisti che si sono fatti prendere per il naso per mesi».
A giudicare dalle prime battute del dibattito che già infuria in rete il caso di Amina, la blogger lesbica siriana perseguitata a Damasco che era invece un barbuto attivista politico americano residente in Scozia, rischia di alzare altra polvere sulla questione, ormai annosa, della credibilità del sistema informativo nell'era delle tecnologie digitali.
LE NOTIZIE «TAROCCATE»- La diffusione di notizie «taroccate» non è iniziata certo col web: le campagne di «disinformatsja» organizzate dai servizi segreti sovietici precedono lo sviluppo di Internet. E i falsari delle news non hanno risparmiato nemmeno la televisione. L'era digitale ha, però, amplificato di molto la minaccia dando più potere ai fabbricatori di storie inventate e rendendo più difficile il lavoro di verifica. Fermo restando che il «vizietto» di inventare l'hanno avuto anche penne di testate illustri (otto anni fa i «falsi» di Jason Blair costarono a Howell Raines la direzione del New York Times) è evidente che l'informazione digitale ha reso tutto molto più complesso per almeno tre motivi: 1) la moltiplicazione delle fonti e dei canali informativi ha trasformato il sistema dell'informazione in una babele di voci che rimbombano rendendo sempre più difficile selezionare, individuare i punti deboli delle storie, verificare; 2) l'accelerazione del ciclo informativo, l'esigenza di pubblicare in tempo reale la notizia sui siti, prima ancora di proporle sul giornale del giorno dopo o nel tg serale, riduce ulteriormente i margini per un controllo approfondito; 3) il progressivo assottigliamento delle redazioni dei "mainstream media". Riducendo il numero dei giornalisti - misura adottata quasi ovunque ma soprattutto negli Usa per cercare di riportare in attivo i conti in tempi di crisi - gli editori finiscono per ridurre anche la capacità delle testate più serie e credibili di fare le loro verifiche.



 LE TAPPE - La scoperta che quello di Amina Arraf era un falso costruito ad arte ha sicuramente gettato nello sconforto le testate che, come l'inglese Guardian, avevano puntato con convinzione sul dramma della «gay girl» di origine americana perseguitata dal regime di Assad. Tom MacMaster, l'attivista americano che si dice un sostenitore della causa palestinese, ha cominciato a impersonare in rete il falso personaggio a febbraio, ma solo il sette maggio i giornali anglosassoni si sono accorti della storia e hanno cominciato a raccontarla. Un mese dopo, la scoperta della truffa: l'8 giugno il Guardian rimuove dal suo sito le immagini della presunta «eroina» siriano-americana perseguitata a Damasco. La persona ritratta, si scopre, è Jelena Lecic, una ragazza croata che lavora a Londra: dice di aver subito un furto d'identità. Le foto di una festa di compleanno, messe su Facebook, sono finite su un altro profilo personale.
LA LETTERA - La storia, conclusasi domenica con una lettera nella quale MacMaster confessa di aver costruito il falso e si scusa, ha ancora molti lati oscuri. L'anziano studente americano (a 40 anni sta cercando di ottenere un master all'università di Edimburgo) dice di aver voluto esplorare i confini tra realtà e finzione.
E adesso chi paga per gli enormi danni alla credibilità dei ragazzi che si ribellano ai dittatori arabi affidando la loro protesta alle reti sociali e a YouTube? E che fare per evitare il moltiplicarsi dei casi Amina?
MacMaster probabilmente la farà franca. Colpa della stampa «credulona»? Certo, c'è stata troppa enfasi prima delle verifiche. Ma controllare in un Paese in cui infuria una guerra civile, governato da una dittatura feroce che non vuole testimoni fra i piedi, è assai difficile. Non fosse finita su giornali e tv, la storia della falsa perseguitata non avrebbe avuto un risalto mondiale, ma probabilmente avrebbe continuato a proliferare in rete. Alla fine sono state proprio le ricerche incalzanti del Washington Post, della radio pubblica americana (Npr) e di un sito filopalestinese (Electronic Intifada) a far emergere una realtà diversa da quella che era stata descritta.

LE VERIFICHE - Il nuovo mondo dell'informazione - pieno di opportunità ma anche di insidie - richiede, insomma, più maturità da parte di tutti e l'abbandono delle utopie di chi ha fin qui creduto in una rete naturalmente orientata al bene: più controlli da parte dei «media» anche a costo di fare uno scoop in meno e di perdere qualcosa in tempestività e un maggior riconoscimento del ruolo dei professionisti dell'informazione da parte degli utenti.
Più facile a dirsi che a farsi: quello delle verifiche è un lavoro oscuro, difficile da far apprezzare. Ora sul sito del laboratorio giornalistico della Nieman, celebre scuola di Harvard, la studiosa Maria Popova propone di attribuire un maggior valore professionale e il riconoscimento di svolgere un lavoro creativo a chi, in un mondo sommerso da un diluvio di informazioni, è chiamato a selezionare e verificare.

image KingOfDarkness:
Squadra del cuore:
Giugno 14, 2011, 12:28:54 pm

Citazione da: bastapocho - Giugno 14, 2011, 11:50:10 am
SIRIA UNO STUDENTE AMERICANO FUORI CORSO DIETRO LA «BUFALA» MONDIALE
Il caso della falsa Amina. Così la censura dei regimi fa nascere leggende online
Rivolte digitali. E adesso chi paga per gli enormi danni alla credibilità di chi si ribella via Internet ai dittatori?

 NEW YORK - «E' la dimostrazione che il "citizen journalism" va preso con le molle. La prova che il lavoro di selezione e verifica, oltre che di ricerca di materiale originale, da parte dei professionisti dell'informazione è indispensabile: le storie veicolate su Internet non possono essere prese a scatola chiusa». «Ma no, lasciate stare Internet. Prendetevela piuttosto coi giornalisti professionisti che si sono fatti prendere per il naso per mesi».
A giudicare dalle prime battute del dibattito che già infuria in rete il caso di Amina, la blogger lesbica siriana perseguitata a Damasco che era invece un barbuto attivista politico americano residente in Scozia, rischia di alzare altra polvere sulla questione, ormai annosa, della credibilità del sistema informativo nell'era delle tecnologie digitali.
LE NOTIZIE «TAROCCATE»- La diffusione di notizie «taroccate» non è iniziata certo col web: le campagne di «disinformatsja» organizzate dai servizi segreti sovietici precedono lo sviluppo di Internet. E i falsari delle news non hanno risparmiato nemmeno la televisione. L'era digitale ha, però, amplificato di molto la minaccia dando più potere ai fabbricatori di storie inventate e rendendo più difficile il lavoro di verifica. Fermo restando che il «vizietto» di inventare l'hanno avuto anche penne di testate illustri (otto anni fa i «falsi» di Jason Blair costarono a Howell Raines la direzione del New York Times) è evidente che l'informazione digitale ha reso tutto molto più complesso per almeno tre motivi: 1) la moltiplicazione delle fonti e dei canali informativi ha trasformato il sistema dell'informazione in una babele di voci che rimbombano rendendo sempre più difficile selezionare, individuare i punti deboli delle storie, verificare; 2) l'accelerazione del ciclo informativo, l'esigenza di pubblicare in tempo reale la notizia sui siti, prima ancora di proporle sul giornale del giorno dopo o nel tg serale, riduce ulteriormente i margini per un controllo approfondito; 3) il progressivo assottigliamento delle redazioni dei "mainstream media". Riducendo il numero dei giornalisti - misura adottata quasi ovunque ma soprattutto negli Usa per cercare di riportare in attivo i conti in tempi di crisi - gli editori finiscono per ridurre anche la capacità delle testate più serie e credibili di fare le loro verifiche.



 LE TAPPE - La scoperta che quello di Amina Arraf era un falso costruito ad arte ha sicuramente gettato nello sconforto le testate che, come l'inglese Guardian, avevano puntato con convinzione sul dramma della «gay girl» di origine americana perseguitata dal regime di Assad. Tom MacMaster, l'attivista americano che si dice un sostenitore della causa palestinese, ha cominciato a impersonare in rete il falso personaggio a febbraio, ma solo il sette maggio i giornali anglosassoni si sono accorti della storia e hanno cominciato a raccontarla. Un mese dopo, la scoperta della truffa: l'8 giugno il Guardian rimuove dal suo sito le immagini della presunta «eroina» siriano-americana perseguitata a Damasco. La persona ritratta, si scopre, è Jelena Lecic, una ragazza croata che lavora a Londra: dice di aver subito un furto d'identità. Le foto di una festa di compleanno, messe su Facebook, sono finite su un altro profilo personale.
LA LETTERA - La storia, conclusasi domenica con una lettera nella quale MacMaster confessa di aver costruito il falso e si scusa, ha ancora molti lati oscuri. L'anziano studente americano (a 40 anni sta cercando di ottenere un master all'università di Edimburgo) dice di aver voluto esplorare i confini tra realtà e finzione.
E adesso chi paga per gli enormi danni alla credibilità dei ragazzi che si ribellano ai dittatori arabi affidando la loro protesta alle reti sociali e a YouTube? E che fare per evitare il moltiplicarsi dei casi Amina?
MacMaster probabilmente la farà franca. Colpa della stampa «credulona»? Certo, c'è stata troppa enfasi prima delle verifiche. Ma controllare in un Paese in cui infuria una guerra civile, governato da una dittatura feroce che non vuole testimoni fra i piedi, è assai difficile. Non fosse finita su giornali e tv, la storia della falsa perseguitata non avrebbe avuto un risalto mondiale, ma probabilmente avrebbe continuato a proliferare in rete. Alla fine sono state proprio le ricerche incalzanti del Washington Post, della radio pubblica americana (Npr) e di un sito filopalestinese (Electronic Intifada) a far emergere una realtà diversa da quella che era stata descritta.

LE VERIFICHE - Il nuovo mondo dell'informazione - pieno di opportunità ma anche di insidie - richiede, insomma, più maturità da parte di tutti e l'abbandono delle utopie di chi ha fin qui creduto in una rete naturalmente orientata al bene: più controlli da parte dei «media» anche a costo di fare uno scoop in meno e di perdere qualcosa in tempestività e un maggior riconoscimento del ruolo dei professionisti dell'informazione da parte degli utenti.
Più facile a dirsi che a farsi: quello delle verifiche è un lavoro oscuro, difficile da far apprezzare. Ora sul sito del laboratorio giornalistico della Nieman, celebre scuola di Harvard, la studiosa Maria Popova propone di attribuire un maggior valore professionale e il riconoscimento di svolgere un lavoro creativo a chi, in un mondo sommerso da un diluvio di informazioni, è chiamato a selezionare e verificare.

Sono vergognose le proteste da parte dei dimostranti siriani e dai ribelli libici. Per poi passare dagli egiziani e dagli yemeniti.

Obama... vergognati!

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