"No matter how far wrong you've gone / you can always turn around"
Fu genio, il vecchio Gil Scott-Heron, negli anni 70.
Scrittore, poeta, musicista, militante politico e sociale, autore di inni immortali come "The Revolution Will Not Be Televised", antesignano del rap insieme ai coevi Last Poets e fautore di un sound sfuggevole a ogni definizione, misto di jazz-soul-funky-blues e spoken word con il quale ci regalò capolavori come "Pieces Of A Man", Free Will", "Reflections", "Winter In America".
Tutti da scoprire, se non conoscete il soggetto.
Se amate la musica nera. O, meglio, se amate la musica. E basta.
Il declino però fu lento e inesorabile; gli anni 80, nel dopo "Reflections", furono prolifici ma non memorabili come il decennio precedente, i 90, eccettuando "Spirits", praticamente dimenticabili, ma il peggio, al povero Gil, lo riserva il nuovo millennio.
Già, perché la vita, come guidata da un ironico diavolo, trascina il nostro, che in "Angel Dust" cantava dei rischi e delle miserie legate alla droga, in un abisso infernale di dipendenza da cocaina, con conseguente misera esistenza fatta di violenza, tragedie familiari e ripetute gite al gabbio.